mercoledì 25 giugno 2008

Obama vs McCain. La sfida inizia così

Sembra passato un secolo da quando Hillary Clinton lottava appesa a un filo. Da quando vinceva le ultime primarie in Kentucky, Porto Rico e South Dakota (dati definitivi nelle tabelle in fondo), da quando rivendicava il primato del voto popolare nell'estremo tentativo di convincere i superdelegati a non voltarle le spalle, da quando sperava che la riammissione dei delegati di Florida e Michigan potesse accorciare le distanze da Obama. Sembra passato un secolo da quando Bill Clinton gridava al complotto di stampa e forze liberal contro la candidatura di sua moglie alla Presidenza degli Stati Uniti, da quando, nella lunga guerra civile democratica, i giovani, gli afroamericani, i ricchi e gli indipendenti erano per Obama e le donne, gli ultrasessantenni e la classe media erano per Hillary. Sembra passato un secolo anche da quando la ex first lady in mezz'ora di discorso al National building museum di Washington annunciava a denti stretti e senza un sorriso che avrebbe sospeso la propria campagna elettorale per sostenere il senatore dell'Illinois immolandosi per il bene del partito.
Appena fu ufficiale che Obama aveva raggiunto e superato i 2.118 delegati utili per ottenere la nomination, i due contendenti si erano incontrati a Washington, a casa dalla senatrice della California Dianne Feinstein, per un primo riservatissimo colloquio. Pare che in quell'occasione si parlò di ripianamento del debito accumulato in campagna elettorale dalla Clinton e, per l'ennesima volta, di un suo possibile, ingombrantissimo, ingresso nel ticket presidenziale. Da allora più nulla, se si esclude la ridda di ipotesi che vorrebbe la senatrice di New York, oltre che alla vicepresidenza, alla carica di governatore dello Stato, alla guida del gruppo senatoriale democratico, piuttosto che sindaco della Grande Mela o candidata alla Presidenza nel 2012 in caso di vittoria di McCain. Chissà.
Per ora il fatto certo è che la sfida tra Obama e McCain è iniziata e sarà tutt'altro che usuale a cominciare proprio dai due contendenti. Il 47enne afroamericano senatore dell'Illinois, liberal, carismatico e tremendamente glamour e il 72enne eroe del Vietnam, repubblicano non convenzionale, tenuto in grande considerazione anche dagli avversari. L'America della crisi dei mutui subprime, del dollaro a pezzi e della guerra in Iraq sarà al centro della loro campagna presidenziale. Le strategie elettorali di entrambi puntano a vincere conquistando Stati che in genere votano per il partito opposto in uno scenario completamente ridisegnato rispetto al passato.
Il Presidente degli Stati Uniti viene scelto mediante un'elezione di secondo grado. Ogni Stato, in proporzione alla propria popolazione, nomina un numero di “grandi elettori” chiamati poi ad eleggere a loro volta il Presidente. Il candidato che conquista anche un solo voto in più rispetto al suo avversario si aggiudica tutti i grandi elettori dello Stato. I grandi elettori sono complessivamente 538, ne servono quindi 270 per ottenere la Presidenza.
Ora, mentre tra le elezioni del 2000 e quelle del 2004 furono solo tre gli Stati a cambiare colore, quest'anno non si esclude una vera e propria rivoluzione. Michael Barone, uno dei maggiori esperti di flussi elettorali, prevede che la partita si giocherà in almeno 12 Stati: New Hampshire, Pennsylvania, Ohio, Michigan, Wisconsin, Minnesota, Iowa, Florida, Colorado, Nevada, New Mexico e Oregon, con una tendenza a favore dei democratici. Anche la electoral college map della CNN segna una prevalenza di grandi elettori a favore di Obama che conquisterebbe la costa ovest e il Nord-est, mentre McCain terrebbe saldamente gli Stati centrali e il Sud-est. In alcuni Stati, l'Ohio ad esempio, sarà interessante vedere quanto Obama è stato in grado di recuperare l'elettorato che durante le primarie si era espresso a maggioranza per la Clinton, giocherà molto anche il fattore razziale. Uno Stato da sempre in mano ai repubblicani come il North Carolina sarà oggetto di contesa proprio in virtù di quel 21% di popolazione afroamericana. Le alleanze locali e le vicepresidenze potrebbero spostare anch'esse voti preziosi, lo sa bene McCain che gioca su questo in Stati chiave come la Florida e la California.
Secondo i sondaggi (i dati sono ancora della CNN che si basa sugli ultimi rilevamenti effettuati o commissionati da Newsweek, Gallup e Fox News/Opinion Dynamics) Obama guiderebbe al 48% contro il 40% del candidato repubblicano. Il senatore dell'Illinois sembra aver recuperato terreno su donne ed ispanici dopo l'uscita di scena della Clinton e si conferma vincente su giovani e indipendenti. Obama riscuote fiducia sui temi economici e sull'Iraq, argomento sul quale però McCain è staccato di pochi punti.
Anche se appaiono lontani i tempi in cui il senatore dell'Arizona era in testa nei sondaggi, il balzo in avanti compiuto da Obama dopo la fine delle ostilità in casa democratica ha proporzioni del tutto simili al vantaggio che John Kerry vantava su George W. Bush tra maggio e giugno del 2004, dunque la situazione è in evoluzione e nessuno dei due contendenti dovrebbe vincere il duello di novembre a mani basse.
Sul fronte del fundraising maggio si è rivelato un mese sorprendente per McCain che ha eguagliato Obama raccogliendo la stessa cifra, 22 milioni di dollari. I rispettivi conti bancari ammontano a 32 e 33 milioni di dollari.
Oggi Barack Obama ha dalla sua tre elementi importanti: il favore dei pronostici, la carta del cambiamento e l'immagine. Tuttavia è fuori di dubbio che la sua strategia, in apparenza perfetta, abbia mostrato alcuni limiti. Nelle ultime primarie il suo effetto trainante è stato arrestato da una rimonta della Clinton iniziata, ahilei, troppo tardi e restano ancora da recuperare quei segmenti di elettorato, come la classe media e gli anziani, che hanno dimostrato di non fidarsi di lui contribuendo a disegnare il profilo di un candidato troppo elitario per connettersi con il Paese reale. Un'altra obiezione che gli viene mossa consiste nell'accusa di essere un liberal assolutamente ortodosso. Infatti nonostante lo sforzo di porsi come candidato post partisan, le sue scelte da senatore sono state tutte certamente di sinistra.
Secondo David Paul Kuhn, analista di Politico.com, per vincere, Obama dovrà puntare sui temi dell'economia, della sanità e della povertà impedendo al suo avversario di focalizzare il dibattito su sicurezza nazionale e politica estera temi su cui il candidato democratico ha dimostrato di avere idee quantomeno approssimative.
Il distacco definitivo dalla United Trinity Church del reverendo Wright, che tanti problemi gli aveva creato nei mesi passati, e l'endoresement di Al Gore sono due mosse significative messe a segno da Obama. La prima, volta ad allontanare dal senatore dell'Illinois le accuse di estremismo e antipatriottismo, la seconda, utile per contrastare un McCain che sin dall'inizio ha vestito i panni dell'ecologista. Meno azzeccata e decisamente di cattivo gusto l'idea di farsi un personale sigillo presidenziale.
Per riempire la casella ancora vuota della vicepresidenza Obama ha affidato un incarico esplorativo ad una commissione di tre saggi di cui fa parte anche Caroline Kennedy. Oltre all'opzione Clinton, sono sul tappeto i nomi del senatore della Virginia, Jim Webb, contrario alla guerra in Iraq e proveniente da uno Stato in bilico, dell'ex senatore conservatore della Georgia, Sam Nunn, della governatrice moderata del Kansas, Katherine Sebelius, del governatore clintoniano della Pennsylvania Ed Rendell. Ancora contemplati gli ex candidati alla Presidenza Joe Biden, John Edwards e Bill Richardson. Singolari le ipotesi Mike Bloomberg, possibile vicepresidente tanto di Obama quanto di McCain, e del generale James Jones, amico di McCain e corteggiato da Obama.
Lo strano destino del senatore dell'Arizona è di essere considerato il candidato della continuità con l'amministrazione Bush nonostante nella sua attività di senatore repubblicano tra i più indipendenti e in questo primo scorcio di campagna presidenziale, ne abbia più volte preso le distanze, dalla gestione del dopoguerra in Iraq, al protocollo di Kyoto fino agli interventi dopo l'uragano Katrina. L'appartenenza allo stesso partito di un Presidente uscente in così forte crisi di popolarità, secondo molti, non potrà non avere ripercussioni sulla corsa alla Casa Bianca di McCain, soprattutto se si considera che il suo avversario è il monopolista del cambiamento.
Non solo, lo strano destino del veterano del Vietnam lo porterà a dover camminare sul filo del rasoio attento a non allontanarsi troppo da Bush, per non alienarsi le simpatie della base repubblicana, in particolare della destra religiosa che ancora è accanto al Presidente uscente. Attento a non avvicinarglisi più del dovuto per conservare il proprio appeal sull'elettorato indipendente e su quello clintoniano che non voterebbe Obama.
Tra i temi su cui McCain sta dimostrando grande concretezza e su cui si giocherà la campagna elettorale ci sono l'immigrazione, la sicurezza, la guerra al terrorismo, l'ambiente e la riforma dell'apparato dello Stato.
Negli ultimi giorni ad impensierire il candidato del GOP, è arrivato anche l'annuncio della discesa in campo di Bob Barr, candidato alla Presidenza per il Partito libertario, in grado di sottrarre voti ai repubblicani.
Anche McCain è alle prese con la scelta del vicepresidente. Si fanno i nomi di figure legate a Bush come Condoleeza Rice e Robert Portman, quelli dei conservatori Mitt Romney, facoltoso ex candidato alla Presidenza con eccellenti possibilità di influire nel risultato del Michigan, e di Bobby Jindal, governatore della Louisiana. Nella lista anche Tim Pawlenty, governatore del Minnesota , Charlie Crist, governatore della preziosissima Florida e Sarah Palin, governatrice dell'Alaska. Possibile anche la scelta di indipendenti come Joe Lieberman, senatore del Connecticut già candidato alla vicepresidenza con Al Gore.
Staremo a vedere quali saranno le mosse e le decisioni di entrambi i contendenti. La partita è appena cominciata.



1 commento:

Anonimo ha detto...

sul blog ghetto torittese gli utenti si chiedono se vale la pena stampare un bollettino a circa 37.000 euro annui compresi i costi per le 4 volonatrie del servizio civile, e due di queste replicano affermando che il loro lavoro va oltre le loro competenze, ma evitano di informare in qualità anche di urp sui costi effettivi di questo bollettino comunale.