Le consultazioni sono terminate ieri e come era prevedibile davanti al Presidente della Repubblica si è presentato un quadro di difficile soluzione, complicato ancora di più dal ricompattamento della CdL, che registra il pieno assenso dell'Udc alla linea del voto in primavera, e dalla ribadita indisponibilità dell'Udeur a sostenere un governo istituzionale. Dopo la pausa di riflessione, Napolitano oggi pomeriggio alle 17 ha convocato il Presidente del Senato, Franco Marini per affidargli un incarico con il preciso scopo di trovare un consenso sulla riforma della legge elettorale e assumere le decisioni più urgenti. Marini ha accettato l'impegno gravoso e ha giurato di metterci tutta la sua determinazione.
Un dato positivo è costituito dalla chiarezza del mandato conferito dal Presidente della Repubblica a Marini. Con quello che è stato subito battezzato incarico finalizzato, si è sgomberato immediatamente il campo dall'ipotesi fantasiosa lanciata dal segretario del Pd, Veltroni di varare un governo della durata minima di 8 mesi/un anno che, oltre delle modifiche alla legge elettorale, si occupasse di aumento dei salari e della produttività, nonché delle riforme costituzionali mediante l'adozione del testo all'esame della Camera che altro non è che una una formula depotenziata della riforma varata dal centro-destra nella scorsa legislatura e ferocemente avversata dalla sinistra. Per fare le riforme istituzionali e occuparsi efficacemente dei problemi legati all'economia e al lavoro c'è bisogno di un governo che abbia ricevuto pieno mandato dagli elettori non di un esecutivo debolissimo, risultato di manovre di palazzo, questo il segretario di un partito che si dice democratico dovrebbe saperlo.
Il compito di Marini sarà quindi, più modestamente, quello di mettere insieme una maggioranza in grado di approvare una nuova legge elettorale che mandi in pensione il tanto odiato porcellum e scongiuri il rischio referendum. Viene subito da chiedersi quale maggioranza? E quale legge elettorale?
Trovare una base parlamentare che dia la fiducia all'eventuale governo Marini sarà un'impresa improba. La partita, è chiaro, si gioca tutta in Senato dove almeno il 50 per cento dei componenti è a favore delle elezioni anticipate, ma confidando nel ripensamento di Mastella, nel voto di qualche transfuga dell'Udc in odore di cosa bianca, degli inossidabili senatori a vita, senza contare la possibilità di offrire lo scranno di Presidente del Senato ad un esponente dell'opposizione in maniera da neutralizzare un ulteriore prezioso voto, forse, una maggioranza purché sia, il presidente incaricato, potrebbe raccattarla. E pazienza se sarà un film già visto.
Una volta trovato il sostegno delle Camere, anche per pochi voti, bisognerà entrare nel merito del problema. In questi lunghi mesi di dibattito sulla riforma della legge elettorale non si è arrivati a nulla. Si è passati dalle modifiche mirate proposte da D'Alimonte, alla prima bozza bianco, alla proposta Vassallo-Ceccanti, fino alla seconda bozza bianco, passando per il maggioritario francese, il proporzionale tedesco e il sistema spagnolo. Un ginepraio nel quale, per ora, l'unica certezza è il referendum abrogativo ammesso in via definitiva dalla Consulta.
Su quale di queste proposte o di questi modelli Marini crede di poter coagulare un consenso tale da portare all'approvazione di una nuova legge elettorale in tempi rapidissimi?
Federico Geremicca su La Stampa riferisce che il Presidente del Senato tenterà di assicurarsi una maggioranza più solida tentando di recuperare il dialogo con l'intera Udc e inchioderà Berlusconi agli impegni precedentemente assunti. Pare infatti che esista un accordo con il Pd molto vicino alla proposta Vassallo che prevede l'assegnazione del 50 per cento dei seggi col sistema proporzionale e il restante 50 per cento in collegi uninominali, alla Camera, con la ripartizione dei resti nei singoli collegi; assegnazione di due terzi dei seggi su base uninominale e un terzo con criterio proporzionale, al Senato. Un accordo che avvantaggia senza dubbio i partiti maggiori e al quale il Cavaliere non potrebbe dire di no, soprattuto se approvato entro la primavera.
Peccato che però le cose non si tengano: l'Udc non voterebbe mai una proposta di questo tipo, fortemente penalizzante, e d'altro canto Berlusconi non metterebbe a repentaglio l'appena riconquistata ed elettoralmente molto proficua unità della Cdl per un sistema seppure vantaggioso per Forza Italia.
Il crinale su cui Marini si muove è strettissimo e sarebbe buffo se tutta questa operazione avesse come unico risultato un presidente del consiglio dimissionario diverso da Prodi a Palazzo Chigi durante la campagna elettorale. Il voto resta la via più semplice e chiara per giungere ad una soluzione di questa crisi e affidare il Paese ad un governo politico, pienamente responsabile. Certo la legge elettorale vigente non è perfetta e non lo è per molte ragioni, ma è in grado di garantire maggioranze solide qualora si abbia un numero sufficiente di voti, cosa che non è accaduta per il Senato nelle elezioni del 2006 vinte dal centro-sinistra. Chi riversa tutte le colpe sulla legge elettorale è in malafede e ha tutto l'interesse a prendere tempo e a non consentire il ritorno alle urne.
Un dato positivo è costituito dalla chiarezza del mandato conferito dal Presidente della Repubblica a Marini. Con quello che è stato subito battezzato incarico finalizzato, si è sgomberato immediatamente il campo dall'ipotesi fantasiosa lanciata dal segretario del Pd, Veltroni di varare un governo della durata minima di 8 mesi/un anno che, oltre delle modifiche alla legge elettorale, si occupasse di aumento dei salari e della produttività, nonché delle riforme costituzionali mediante l'adozione del testo all'esame della Camera che altro non è che una una formula depotenziata della riforma varata dal centro-destra nella scorsa legislatura e ferocemente avversata dalla sinistra. Per fare le riforme istituzionali e occuparsi efficacemente dei problemi legati all'economia e al lavoro c'è bisogno di un governo che abbia ricevuto pieno mandato dagli elettori non di un esecutivo debolissimo, risultato di manovre di palazzo, questo il segretario di un partito che si dice democratico dovrebbe saperlo.
Il compito di Marini sarà quindi, più modestamente, quello di mettere insieme una maggioranza in grado di approvare una nuova legge elettorale che mandi in pensione il tanto odiato porcellum e scongiuri il rischio referendum. Viene subito da chiedersi quale maggioranza? E quale legge elettorale?
Trovare una base parlamentare che dia la fiducia all'eventuale governo Marini sarà un'impresa improba. La partita, è chiaro, si gioca tutta in Senato dove almeno il 50 per cento dei componenti è a favore delle elezioni anticipate, ma confidando nel ripensamento di Mastella, nel voto di qualche transfuga dell'Udc in odore di cosa bianca, degli inossidabili senatori a vita, senza contare la possibilità di offrire lo scranno di Presidente del Senato ad un esponente dell'opposizione in maniera da neutralizzare un ulteriore prezioso voto, forse, una maggioranza purché sia, il presidente incaricato, potrebbe raccattarla. E pazienza se sarà un film già visto.
Una volta trovato il sostegno delle Camere, anche per pochi voti, bisognerà entrare nel merito del problema. In questi lunghi mesi di dibattito sulla riforma della legge elettorale non si è arrivati a nulla. Si è passati dalle modifiche mirate proposte da D'Alimonte, alla prima bozza bianco, alla proposta Vassallo-Ceccanti, fino alla seconda bozza bianco, passando per il maggioritario francese, il proporzionale tedesco e il sistema spagnolo. Un ginepraio nel quale, per ora, l'unica certezza è il referendum abrogativo ammesso in via definitiva dalla Consulta.
Su quale di queste proposte o di questi modelli Marini crede di poter coagulare un consenso tale da portare all'approvazione di una nuova legge elettorale in tempi rapidissimi?
Federico Geremicca su La Stampa riferisce che il Presidente del Senato tenterà di assicurarsi una maggioranza più solida tentando di recuperare il dialogo con l'intera Udc e inchioderà Berlusconi agli impegni precedentemente assunti. Pare infatti che esista un accordo con il Pd molto vicino alla proposta Vassallo che prevede l'assegnazione del 50 per cento dei seggi col sistema proporzionale e il restante 50 per cento in collegi uninominali, alla Camera, con la ripartizione dei resti nei singoli collegi; assegnazione di due terzi dei seggi su base uninominale e un terzo con criterio proporzionale, al Senato. Un accordo che avvantaggia senza dubbio i partiti maggiori e al quale il Cavaliere non potrebbe dire di no, soprattuto se approvato entro la primavera.
Peccato che però le cose non si tengano: l'Udc non voterebbe mai una proposta di questo tipo, fortemente penalizzante, e d'altro canto Berlusconi non metterebbe a repentaglio l'appena riconquistata ed elettoralmente molto proficua unità della Cdl per un sistema seppure vantaggioso per Forza Italia.
Il crinale su cui Marini si muove è strettissimo e sarebbe buffo se tutta questa operazione avesse come unico risultato un presidente del consiglio dimissionario diverso da Prodi a Palazzo Chigi durante la campagna elettorale. Il voto resta la via più semplice e chiara per giungere ad una soluzione di questa crisi e affidare il Paese ad un governo politico, pienamente responsabile. Certo la legge elettorale vigente non è perfetta e non lo è per molte ragioni, ma è in grado di garantire maggioranze solide qualora si abbia un numero sufficiente di voti, cosa che non è accaduta per il Senato nelle elezioni del 2006 vinte dal centro-sinistra. Chi riversa tutte le colpe sulla legge elettorale è in malafede e ha tutto l'interesse a prendere tempo e a non consentire il ritorno alle urne.
1 commento:
"http://dagospia.excite.it/articolo_index_37706.html"
Ecco perche' si perde tempo.
Ciao :)
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