La Corte europea per i diritti dell'Uomo apre un fascicolo sul caso di Eluana Englaro, le Regioni impediscono di fatto l'esecuzione della sentenza della Cassazione che le permette di sospendere i trattamenti sanitari. Ora la necessità è legiferare sul fine vita salvaguardando il principio di autodeterminazione delle cure garantito dalla Costituzione
Ormai è noto, l'alimentazione e l'idratazione di Eluana Englaro possono essere legittimamente sospese. Lo ha deciso pochi giorni fa la Cassazione che ha respinto il ricorso della Procura di Milano contro la Corte d'appello del capoluogo lombardo.
Poco più di un anno fa, il 16 ottobre 2007, la Suprema Corte si pronunciò sulla vicenda rinviando la decisione relativa all'interruzione del trattamento alla Corte d'Appello di Milano. In quella sentenza si dispose la celebrazione di un nuovo processo teso a verificare se nel caso Englaro ricorressero due circostanze concorrenti: 1) che la condizione di stato vegetativo della paziente fosse apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità, secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e delle capacità di percezione; 2) che fosse univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto della paziente, dalla sua personalità e dai convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti e le decisioni, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento.
Il 9 luglio di quest'anno la Corte d'Appello, ritenendo verificate le due condizioni, ha autorizzato la sospensione dell'alimentazione. Pochi giorni dopo le Camere hanno sollevato un conflitto di attribuzione contro la Cassazione e il caso è finito davanti alla Corte Costituzionale che però ha dato ragione a Cassazione e Corte d'Appello. Le sezioni unite della Suprema Corte hanno chiuso l'odissea giudiziaria legata al caso Englaro confermando i precedenti pronunciamenti.
Ora la partita si gioca sul piano dell'esecuzione della sentenza. La Regione Lombardia, dal cui sistema sanitario la Englaro dipende, si è rifiutata di dar seguito alle decisioni della Cassazione ritenendo di non essere stata espressamente citata nella sentenza e facendo valere la possibile obiezione di coscienza avanzata dai medici. Dello stesso tenore le ragioni addotte dalla Regione Toscana. Friuli Venezia Giulia e Piemonte, dopo una prima timida apertura, non confermano la propria disponibilità. Vittorio Angiolini, avvocato degli Englaro, spiega che la volontà della famiglia è quella che la sentenza venga eseguita in una struttura pubblica per cui è indispensabile l'avallo del Presidente della Regione e dell'Assessore alla Sanità a cui la struttura scelta fa capo. Secondo Angiolini la pubblica amministrazione deve collaborare anche quando, come in questo caso, la sentenza non la coinvolge direttamente affidando al tutore la scelta e promette ricorso al Tar. Sull'obiezione di coscienza afferma che il nostro ordinamento la prevede solo per l'aborto e per il servizio di leva non certo per la sospensione delle cure. Intanto la Corte europea per i diritti dell'Uomo ha aperto un fascicolo sul caso Englaro dopo il ricorso di 34 associazioni italiane contro la sentenza della Cassazione. L'iniziativa non ne blocca gli effetti, ma certo non aiuta a semplificare la questione.
Mette una profonda tristezza pensare che l'epilogo di una vicenda così dolorosa debba passare per un ricorso al Tar e il problema, per dirla con Benedetto Della Vedova, non è tanto quello di una “giurisprudenza creativa”, o meglio interpretativa, quanto quello di una “politica elusiva”. La vicenda di Eluana Englaro ha messo in evidenza la lacuna normativa relativa ai temi del testamento biologico, delle direttive anticipate di volontà e in generale alla tutela del diritto di libertà terapeutica che, almeno su questo punto sono tutti d'accordo, non può più essere affidata alla fisiologica contraddittorietà delle sentenze. Ha altresì messo in evidenza come il ricorso ad un giudice terzo abbia potuto garantire quel diritto che trova già oggi le proprie fondamenta nell'ordinamento giuridico italiano. L'articolo 32 della Costituzione prevede che nessuno possa essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, la ratificata Convenzione di Oviedo sui diritti dell'Uomo e la biomedicina, all'articolo 9, prevede che i desideri espressi da un paziente prima di un intervento medico vengano tenuti in considerazione se al momento dell'intervento stesso egli non è in grado di esprimere la propria volontà, il Codice di deontologia medica stabilisce precisi limiti in materia di direttive anticipate di trattamento. E' su queste basi che l'intervento del legislatore deve incardinarsi. Già all'indomani del ricorso delle Camere alla Consulta, una pattuglia di deputati laici e liberali del Popolo della Libertà presentò una mozione che impegnava il governo in questo senso e proprio nelle ore in cui le sezioni unite della Cassazione decidevano sulla vicenda Englaro la stessa pattuglia capeggiata da Benedetto Della Vedova e Margherita Boniver presentava un progetto di legge rubricato “Disposizioni in materia di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario”. Un documento dal testo identico a quello approvato dalla Commissione Sanità del Senato nel 2005 con i voti del centrodestra. Esso, secondo le norme della deontologia medica, parte dal presupposto di dare centralità al rapporto tra medico e paziente nell'esclusivo e migliore interesse dell'incapace, tenendo conto della volontà espressa da quest'ultimo in precedenza. E' previsto che le direttive anticipate di trattamento vengano redatte per atto pubblico notarile nella formazione del quale interviene un medico che assiste il disponente. In esse viene definito ciò che si intende per trattamento sanitario, che può comprendere anche idratazione e nutrizione, e si provvede alla nomina di un fiduciario chiamato ad attuare la volontà dell'interessato e ad esigerne il rispetto secondo la lettera della dichiarazione. Il progetto di legge dispone inoltre quali siano i soggetti che hanno titolo ad esprimere il consenso o il dissenso al trattamento sanitario, nel caso in cui il paziente in stato di incapacità non abbia provveduto a dettare dichiarazioni anticipate e chi decide (il giudice tutelare) in caso di contrasto tra i soggetti legittimati ad esprimersi, ad esempio medico e fiduciario.
Attualmente sono circa dieci le proposte di legge sul fine vita depositate in Parlamento e i punti di maggiore contrasto, che dividono trasversalmente i partiti, riguardano la misura in cui il medico debba essere vincolato alle dichiarazioni anticipate di trattamento, la loro utilizzazione in base alla datazione, la possibile obiezione di coscienza del personale sanitario, la considerazione di idratazione e nutrizione come terapie. Raffaele Calabrò, cardiologo e senatore del PdL in commissione Sanità, è chiamato a tentare una sintesi tra le proposte sul tappeto e promette di farlo in tempi brevi. Data la complessità della materia, sarebbe auspicabile una piena autonomia del Parlamento e un confronto aperto tra le diverse posizioni. Irrigidire il dibattito su una impostazione predefinita, magari compiacente nei confronti della visione delle gerarchie ecclesiastiche in proposito, rischia di essere controproducente e di ridimensionare pesantemente il principio di autodeterminazione delle cure così come sancito dalla Costituzione e ripreso da altre fonti del nostro ordinamento. La proposta dei laici del PdL parte da un testo che non più tardi di tre anni fa, al di fuori delle guerre di religione, fu approvato dal centrodestra. Quel testo chiarisce i termini del diritto di libertà di cura senza metterlo in discussione, consente al cittadino di poter scegliere e lo mette al riparo da una sorta di “terapia di Stato” che renderebbe obbligatori, in forza di una legge, alcuni trattamenti (nutrizione e idratazione) piuttosto che altri. Rifugge da quello “statalismo etico” che impedisce, a chi lo vuole, di rifiutare la prosecuzione artificiale della vita.
Eluana Englaro, il suo letto d'ospedale, il suo sondino naso gastrico lungo 17 anni, è il simbolo della necessità di una legge sul fine vita che non rappresenti un'involuzione. Le sue scelte meritano oggi il rispetto che le è stato riconosciuto nella pienezza del diritto, la sua storia merita quella pietà che nei fiumi d'inchiostro versati su questa vicenda è sovente passata in secondo piano.
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1 commento:
Dopo aver letto il tuo articolo, rispondo umilmente con una frase di Enzo Biagi, pronunciata durante una veloce ma, a mio avviso, intensa intervista rilasciata alle Iene:
-l'eutanasia è un problema di coscienza,un problema religioso-
mi complimento con te per il modo delicato e preparato con il quale hai saputo affrontare un problema così spinoso, difficile e doloroso.
Ida
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