
Quanto di edificante è stato detto durante la giornata di venerdì scorso, finisce qui. Il resto è il solito delirio ideologico a cui siamo abituati, fomentato dalla recente sconfitta elettorale delle sinistre e dalla partita dei ballottaggi ancora aperta. Una bieca strumentalizzazione di quella storia che dovrebbe far parte della memoria condivisa del Paese e che invece, ancora una volta, è stata usata per piccoli interessi contingenti.
Addirittura l'Anpi, l'Associazione Nazionale Partigiani, ha chiamato ad una «mobilitazione straordinaria poiché l'Italia sta correndo nuovi pericoli. Emergono sempre più rischi per la tenuta del sistema democratico» (i rischi sarebbero rappresentati dal ritorno al governo del centrodestra che ha vinto in modo schiacciante libere e democratiche elezioni...). All'appello hanno prontamente risposto tutte le sigle partitiche, sindacali e associazionistiche di sinistra non solo. Mario Pirani su Repubblica, riferendosi al non ancora insediato nuovo governo Berlusconi, ha parlato di «una versione edulcorata del fascismo»; il ministro della solidarietà sociale, Ferrero ha invitato a mobilitarsi contro una «destra razzista, che ricorda i movimenti filonazisti degli Anni Venti»; più utilitaristicamente l'ex segretario di Rifondazione comunista, Giordano ha ricordato che «nel giorno della nostra Liberazione non bisogna consegnare Roma alla destra di Alemanno» di cui Valentino Parlato sul Manifesto sostiene di sentire il puzzo...
A Genova è stato fischiato il cardinale Bagnasco, a Roma i fratelli Terracina, ebrei, ex deportati. Su Beppe Grillo a Torino meglio stendere un velo pietoso.
Il campionario delle amenità in cui si è prodotto il mondo politico e culturale della sinistra potrebbe continuare ma credo che la sua arroganza, l'intima convinzione della superiorità, il sostanziale disprezzo per le scelte dell'elettorato che contraddistinguono anche la sua parte più moderata, sia ampiamente dimostrato.
Come in questi giorni è stato rilevato da più parti, i concetti di antifascismo, Resistenza e Liberazione, nel corso degli anni hanno subito una sorta di asservimento ideologico duro a morire. L'antifascismo liberale, quello cattolico o socialista riformista è stato considerato minore da quella stessa storiografia che ha esaltato il ruolo dell'antifascismo comunista, nonostante l'obiettivo di una parte dominante di esso fosse non già l'approdo alla democrazia, ma la sottomissione al modello sovietico. Allo stesso modo la Liberazione ad opera dell'esercito degli Stati Uniti insieme ad alcune armate britanniche e francesi, con il contributo dell'esercito italiano, quasi scompare di fronte alla lotta partigiana comunista. Per non parlare di quello che seguì alla liberazione, della guerra civile, della lunga serie di omicidi di fascisti o presunti tali (verosimilmente circa 20 mila) ad opera di partigiani o sedicenti tali , il ruolo svolto da parte di coloro che aderirono alla Rsi. Di tutto questo per anni si è preferito non parlare e nonostante il clima sia notevolmente cambiato, penso ad esempio ai libri di Pansa, la tentazione di utilizzare, quella che Massimo Teodori definisce una specie di mitologia astorica, a proprio uso e consumo, è ancora forte.
Perché si riducano i rischi di cadere in simili tentazioni, la strada è quella dell'introduzione delle recenti acquisizioni della storiografia scientifica all'interno dei manuali scolastici che, come ricordato da Alessandro Campi, docente di Storia delle dottrine politiche all'Università di Perugia, in una recente intervista al Giornale, formano il senso storico comune di una nazione. Il tema della riscrittura di alcune pagine come quella della Resistenza e della guerra civile italiana è un compito che compete agli storici e non già a qualche commissione parlamentare dal vago sapore sovietico, ai politici e ai loro emissari sarebbe già tanto chiedere di non distruggere con i propri gesti e con le proprie parole quel brandello di memoria storica comune che questo Paese cerca faticosamente di costruire.
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