Il giudizio sulle Foibe, sull'esodo dei giuliano-dalmati, sull'intera vicenda del confine orientale è stato condizionato per anni dalle pressioni politiche, da una storiografia molto spesso disattenta e superficiale quando non ideologica, da una lettura troppo distante che degli eventi veniva data da italiani e jugoslavi. Secondo questi ultimi, i massacri erano da considerarsi esclusivamente legati alla punizione dei colpevoli fascisti, da parte italiana (da parte dei pochi che avevano il coraggio di parlarne) si vide nelle stragi un tentativo di genocidio nazionale. Per tutti gli anni '70 la storiografia italiana di sinistra si sforzò di giustificare l'inusitata violenza della stagione delle Foibe con l'oppressione fascista subita dalle popolazioni slave, negando del tutto il rapporto tra il massacro degli italiani e l'avvento del nuovo regime in Jugoslavia. Solo dagli anni '80, con Elio Apih prima e Roberto Spazzali, Raoul Pupo e Giampaolo Valdevit poi, si iniziò a porre alla base di quella stagione, non solo lo spontaneismo della violenza di popolo, ma soprattutto il preciso intento politico del movimento di liberazione e rivoluzionario che, mediante una capillare ed organizzata violenza di stato, puntava all'instaurazione di un regime comunista con una forte connotazione nazionale che comprendesse l'intera Venezia Giulia.
Un passo importante verso una rilettura comune di quanto accaduto tra Italia e Slovenia è rappresentato dagli esiti della Commissione bilaterale storico-culturale, costituita nel 1993 all'indomani della dissoluzione della Jugoslavia. La Commissione ha preso in esame l'arco cronologico 1880-1956 (periodo nel quale si verificarono i conflitti più acuti tra italiani e sloveni) e, a proposito della questione delle Foibe del 1945, fa propria la categoria della violenza di stato affermando che il nuovo potere comunista jugoslavo mise a punto un disegno di epurazione preventiva di oppositori reali, potenziali o presunti tali, in funzione della costruzione del nuovo regime.
La stagione delle Foibe si compone di due momenti, il settembre/ottobre 1943 (dopo l'armistizio dell'Italia) e il maggio/giugno 1945 (cacciata dei tedeschi). Essa non comprende solo i massacri di centinaia di militari e civili, in massima parte italiani, gettati all'interno delle profonde voragini naturali ad opera dei partigiani comunisti sloveni e croati ma anche le migliaia di deportazioni, fucilazioni ed esecuzioni sommarie messe in atto anche a distanza di anni.
Il contesto in cui la stagione delle Foibe si inserisce è complesso e affonda le sue radici nelle più o meno antiche conflittualità presenti nelle terre di confine, da quelle di natura socio economica risalenti all'impero austro-ungarico, alla vittoria italiana nella grande guerra che portò il confine nazionale a comprendere aree a popolamento misto, all'antislavismo fascista, fino all'aggressione della Jugoslavia nella primavera del 1941 da parte di Italia, Germania e Ungheria, che portò all'annessione di parte della Slovenia e della Dalmazia al nostro Paese.
Lo Stato fascista, a seguito dell'ampliamento del territorio, non riuscì a controllare le spinte di un movimento di resistenza contro gli occupanti sempre più vasto. Entrambe le formazioni, quella croata in Istria e quella slovena in Venezia Giulia, che lo componevano, erano ad egemonia comunista e saldavano all'obiettivo della lotta ai nazifascisti, quello nazionalista dell'annessione della Venezia Giulia alla nuova Jugoslavia socialista. Fin dal 1942 si assistette ad un crescendo di violenze che diventarono del tutto distruttive dopo l'armistizio dell'8 settembre. In Istria il vuoto di potere lasciato dalle istituzioni italiane venne colmato dal movimento di liberazione croato che proclamò l'annessione della penisola alla Jugoslavia. Chi si opponeva a questo nuovo assetto era considerato traditore e punito di conseguenza. La vaghezza del concetto di traditore provocò ondate repressive indiscriminate nei confronti degli italiani e non solo di quelli appartenenti alla classe dirigente. La strategia di repressione rimandava al modello delle purghe staliniane: a Pisino si celebrarono i processi sommari, le esecuzioni, in genere collettive, e l'occultamento dei cadaveri mediante infoibamento o dispersione in mare delle spoglie raggiunsero ritmi molto alti soprattutto agli inizi di ottobre del 1943 quando, a seguito di un'offensiva tedesca, le autorità furono costrette ad abbandonare l'Istria e vollero farlo lasciandosi dietro il minor numero possibile di testimoni.
Il primo maggio 1945 l'esercito di liberazione jugoslavo riuscì ad occupare l'intera Venezia Giulia salvo abbandonare successivamente Trieste, Gorizia e Pola. L'azione politica e repressiva riprese in maniera assai più coerente e sistematica rispetto agli anni precedenti, si puntò all'azzeramento di quello che rimaneva dell'amministrazione italiana e l'eliminazione del nemico fu tanto capillare quanto brutale. Le truppe di Tito non si limitarono ad uccidere soldati tedeschi e della Rsi ma anche i componenti della Guardia civica di Trieste, un corpo che aveva mansioni di ordine pubblico e che aveva al suo interno esponenti del Cln; i combattenti delle formazioni partigiane italiane non comuniste; alcuni militari del Corpo italiano di liberazione giunti in Venezia Giulia al seguito degli alleati. La logica era quella dell'eliminazione di qualsiasi forza in armi che non fosse agli ordini dell'esercito popolare di liberazione jugoslavo, ma in realtà la repressione guardava principalmente in avanti e puntava alla creazione di un tessuto sociale del tutto favorevole al nuovo assetto politico. L'Ozna, la polizia politica partigiana jugosvala, stilò, con l'aiuto di una vasta rete di confidenti, liste di nemici del popolo nelle quali c'era spazio per rancori politici, etnici o anche solo personali. La popolazione giuliana, in particolar modo a Trieste e Gorizia, fu travolta da un'ondata di violenza feroce: dirigenti delle forze politiche non comuniste, esponenti fascisti di secondo piano, persone ritenute pericolose per i più disparati motivi, per la stragrande maggioranza italiani, andarono incontro ad un destino atroce. Alcuni furono immediatamente passati per le armi o infoibati, altri vennero deportati nei campi di prigionia per essere, se non morivano prima, processati e condannati. I processi andarono avanti fino al 1947. Il disegno era chiaro, attuare una epurazione preventiva di chiunque per opposizione politica o etnica, anche solo potenziale, potesse ostacolare l'instaurazione del regime comunista/nazionalista jugoslavo.
Le cifre del massacro della stagione delle Foibe sono difficili da stilare. Gli studi più attendibili parlano di 4-5 mila scomparsi che salgono a più di 10 mila caduti per l'italianità se si includono anche le vittime della violenza di guerra oltre che di quella politica.
Le foibe della penisola istriana dalle quali venne esumato il maggior numero di salme. Fonte: Millenovecento, mensile di storia contemporanea, n.5 - marzo 2003, pag. 18
Le principali foibe della zona di Trieste e di Gorizia. Fonte: Millenovecento, mensile di storia contemporanea, n.5 - marzo 2003, pag. 27
Qui di seguito, una selezione di siti per approfondire gli argomenti tema di questo post:
STORIA DELLE FOIBE: LA STRAGE DIMENTICATA. La Storia siamo noi - RAI Educational
DALLE FOIBE UN GRIDO: NON DIMENTICATECI!
LEGA NAZIONALE DI TRIESTE: GIORNO DEL RICORDO
10 FEBBRAIO - RICORDARE PER CAPIRE
Piccola bibliografia:
Gianni Oliva, Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria. Mondadori
Guido Rumici, Infoibati (1943-1945). I nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti. Mursia
Friuli Venezia Giulia. Storia del '900. Libreria editrice goriziana
Raoul Pupo, Guerra e dopoguerra al confine orientale d'Italia 1938-1956. Del Bianco
Roberto Spazzali, Foibe, un dibattito ancora aperto. Trieste, Lega nazionale
a cura di Giampaolo Valdevit, Il peso del passato, Marsilio
Giorgio Rustia, Contro operazione foibe a Trieste, Associazione famiglie e congiunti dei deportati in Jugoslavia ed infoibati
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