Ne sono successe di cose dall'ultima volta che mi sono occupato di primarie americane. Partiamo dai risultati delle consultazioni, riepilogati nelle tabelle qui sotto (dati CNN): nelle primarie del quattro marzo in Ohio e Rhode Island, una rediviva Hillary Clinton mette fine alla fuga del rivale Obama forte di undici vittorie consecuntive. Vince con il 54% dei voti contro il 44, nel primo caso, con il 58% contro il 40, nel secondo. Il complicato sistema di voto nel Texas (le primarie assegnavano il 75% dei delegati, solo chi aveva votato per le primarie poteva partecipare ai caucus con cui si assegnavano i restanti delegati) ha visto prevalere di misura Obama che si è aggiudicato 99 delegati contro i 94 della Clinton. Il senatore di Chicago ha invece vinto agevolmente in Vermont staccando di dieci punti la sua avversaria ferma al 39%. Nelle consultazioni del 4 marzo la senatrice di New York riconquista il voto di bianchi, cattolici, donne e indecisi, Obama si conferma vincente tra gli indipendenti. L'8 marzo si replica in Wyoming, nelle primarie dello Stato la Clinton esce sconfitta con il 38% dei voti contro il 61 di Obama. Il fattore razziale gioca un ruolo determinante nelle primarie in Mississippi celebrate l'11 marzo, ben il 92% dell'elettorato afroamericano si pronuncia a favore del senatore dell'Illinois decretandone la vittoria al 61% contro il 37% della Clinton. La conta dei delegati vede rafforzato il vantaggio di Obama che arriva a quota 1.621, Hillary Clinton segue a 1.479. Entrambi sono ben lontani dal numero magico 2.025 utile per strappare la nomination.
Giochi fatti invece in casa repubblicana. McCain vince in Ohio, Rhode Island, Texas, Vermont e Mississippi con un distacco minimo di 13 punti percentuali sul più vicino avversario, Mike Huckabee, e conquista anche matematicamente la nomination. Il leader della destra religiosa si è ritirato dopo le consultazioni texane assicurando sostegno a McCain, resta in campo, per la sua tenace battaglia di testimonianza, il libertario Ron Paul.
L'apertissima partita in campo democratico vede, al momento, le quotazioni della Clinton salire nonostante lo svantaggio in termini di delegati. La ex first lady riparte al grido di Yes we will (Sì, lo faremo) lanciato dall'Ohio, facendo pesare la sua esperienza. Con lo spot delle tre del mattino, chiede agli elettori chi vorrebbero ci fosse a rispondere al telefono della Casa bianca se i servizi segreti avvisassero il Presidente di un imminente pericolo per la sicurezza nazionale, si pronuncia a favore della prosecuzione della guerra in Afghanistan, polemizza con il candidato repubblicano sull'Iraq accusandolo di voler proseguire la politica di Bush e voler rimanere a Baghdad per cento anni. Per quanto riguarda l'immagine sceglie di rinunciare all'ingombrante Bill, si mostra più ironica e padrona della scena e sfoggia gli endoresement vip di Jack Nicholson, Melanie Griffith e Eva Longoria. L'uso di internet le ha giovato nella malconcia raccolta fondi. Certo ad impensierirla è arrivato lo scandalo che ha coinvolto l'ormai ex governatore di New York Eliot Spitzer, coinvolto in un giro di prostituzione e costretto a dimettersi. Spitzer, superdelegato che si era espresso in suo favore, non potrà più sostenerla nella convention di Denver.
Ma questo è nulla in confronto ai guai che si sono abbattuti su Barack Obama. Il front runner democratico ha dovuto dapprima schivare le accuse di anti-patriottismo che gli sono derivate dall'endoresement di Louis Farrakhan, leader della setta Nazione dell'Islam, uno che ha definito l'ebraismo una fede di bassifondi e che ha sostenuto che la cocaina è stata inventata dalla CIA per rendere schiavi gli afroamericani. Ha poi dovuto prendere le distanze dal suo consulente spirituale Jeremian Wright che recentemente ha accusato gli USA di aver contribuito al diffondersi dell'Aids e ha parlato di un possibile ruolo degli Americani nell'attacco dell'11 settembre. E' stato costretto ad ingoiare il boccone amaro del processo a Tony Rezko, uno dei maggiori finanziatori della campagna per l'elezione al Senato di Obama, che è accusato di estorsione, riciclaggio di denaro e frode. Come se non bastasse i principali consiglieri del senatore di Chicago hanno messo a segno una serie impressionante di smentite a riguardo di quanto egli sta promettendo in campagna elettorale, mettendone in luce tutto il dilettantismo. Sembra finita, a causa di tutto questo, anche la luna di miele tra Obama e la stampa.
Al di là della situazione momentanea in cui si trova ognuno dei due candidati democratici, la loro condizione di eterni rivali potrebbe portarli al logoramento a tutto vantaggio di un McCain che si muove già da Presidente in pectore. Il partito ha tutto l'interesse a chiudere la battaglia il prima possibile e Hillary propone un ticket con Obama per non disperdere voti. Ma i sondaggi, che dimostrano che l'elettorato democratico non approverebbe questa scelta, e lo stesso Obama fanno, almeno per ora, tramontare questa possibilità. Il prossimo appuntamento con le primarie è il 22 aprile in Pennsylvania, 5 lunghe settimane nel corso delle quali il confronto si sta spostando a livello nazionale con i due candidati impegnati a convincere l'elettorato della propria superiorità. La Clinton, data per favorita in Pennsylvania, ha bisogno di una serie di vittorie nette per accorciare lo svantaggio in termini di delegati, Obama, c'è da giurarci, punterà ad arrivare alla convention di Denver ancora in testa. Un'ulteriore incognita è la possibile ripetizione delle primarie nei due Stati, Florida e Michigan, puniti per aver anticipato le consultazioni. Le sole due certezze, al momento, sono il ruolo sempre più determinante che stanno assumendo i superdelegati e la discesa in campo dello spauracchio democratico Ralph Nader, candidato indipendente, ambientalista e schierato contro gli abusi delle corporation e dei poteri forti, che nel 2000 attinse al bacino di voti dei democratici provocando la sconfitta di Al Gore.
Il candidato del GOP intanto incassa il pieno sostegno del presidente Bush, impensabile a settembre quando aveva iniziato la sua campagna senza fondi e con sondaggi negativi. Ora il partito fa quadrato attorno a lui e McCain chiede sostegno finanziario e promette di mettersi al lavoro fin da subito per selezionare il vicepresidente. In questi giorni è a capo di una delegazione parlamentare in viaggio in Medio Oriente ed Europa e proprio da Baghdad, dove ha incontrato il primo ministro iracheno Al-Maliki, ha risposto alla Clinton dandole della disfattista, e accusandola di essere indifferente di fronte ai risultati raggiunti dal generale Petraeus. McCain sostiene che non bisogna ritirarsi, almeno per il momento, dall'Iraq e vincere la guerra in Afghanistan con un maggiore apporto degli alleati. In politica interna gioca da indipendente e promette la riforma liberale dell'immigrazione, quella privatistica del sistema sanitario, la difesa dei trattati di libero scambio e la diminuzione della pressione fiscale.
A margine, ma fino ad un certo punto, c'è da registrare l'annuncio ufficiale, con un editoriale sul New York Times, della rinuncia alla corsa per le presidenziali da parte di Mike Bloomberg, di cui si era parlato per mesi. Il ricco (il suo patrimonio si aggira attorno ai 10 miliardi di dollari) e popolare sindaco di New York promette però di sostenere il più indipendente tra i candidati, colui che troverà soluzioni pratiche che sfidino le ortodossie di partito. La sua esperienza in campo economico, oltre che il suo patrimonio, fanno gola ai due che sembrano maggiormente rispondere ai requisiti richiesti da Bloomberg: Obama e McCain. Un'alleanza di questo peso avrebbe grosse e inattese ripercussioni sulla loro campagna elettorale.
La situazione è decisamente fluida e il primo segnale che il vento sta cambiando arriva dai sondaggi. L'ultimo di Zogby dà McCain vincente sulla Clinton 45% a 39%, e su Obama 44% a 39%. Il dato più interessante è che il veterano del Vietnam riuscirebbe a vincere anche in Stati tradizionalmente favorevoli ai democratici come Pennsylvania e Michigan. E' proprio vero, tra i due litiganti il terzo gode e McCain ringrazia.
Giochi fatti invece in casa repubblicana. McCain vince in Ohio, Rhode Island, Texas, Vermont e Mississippi con un distacco minimo di 13 punti percentuali sul più vicino avversario, Mike Huckabee, e conquista anche matematicamente la nomination. Il leader della destra religiosa si è ritirato dopo le consultazioni texane assicurando sostegno a McCain, resta in campo, per la sua tenace battaglia di testimonianza, il libertario Ron Paul.
L'apertissima partita in campo democratico vede, al momento, le quotazioni della Clinton salire nonostante lo svantaggio in termini di delegati. La ex first lady riparte al grido di Yes we will (Sì, lo faremo) lanciato dall'Ohio, facendo pesare la sua esperienza. Con lo spot delle tre del mattino, chiede agli elettori chi vorrebbero ci fosse a rispondere al telefono della Casa bianca se i servizi segreti avvisassero il Presidente di un imminente pericolo per la sicurezza nazionale, si pronuncia a favore della prosecuzione della guerra in Afghanistan, polemizza con il candidato repubblicano sull'Iraq accusandolo di voler proseguire la politica di Bush e voler rimanere a Baghdad per cento anni. Per quanto riguarda l'immagine sceglie di rinunciare all'ingombrante Bill, si mostra più ironica e padrona della scena e sfoggia gli endoresement vip di Jack Nicholson, Melanie Griffith e Eva Longoria. L'uso di internet le ha giovato nella malconcia raccolta fondi. Certo ad impensierirla è arrivato lo scandalo che ha coinvolto l'ormai ex governatore di New York Eliot Spitzer, coinvolto in un giro di prostituzione e costretto a dimettersi. Spitzer, superdelegato che si era espresso in suo favore, non potrà più sostenerla nella convention di Denver.
Ma questo è nulla in confronto ai guai che si sono abbattuti su Barack Obama. Il front runner democratico ha dovuto dapprima schivare le accuse di anti-patriottismo che gli sono derivate dall'endoresement di Louis Farrakhan, leader della setta Nazione dell'Islam, uno che ha definito l'ebraismo una fede di bassifondi e che ha sostenuto che la cocaina è stata inventata dalla CIA per rendere schiavi gli afroamericani. Ha poi dovuto prendere le distanze dal suo consulente spirituale Jeremian Wright che recentemente ha accusato gli USA di aver contribuito al diffondersi dell'Aids e ha parlato di un possibile ruolo degli Americani nell'attacco dell'11 settembre. E' stato costretto ad ingoiare il boccone amaro del processo a Tony Rezko, uno dei maggiori finanziatori della campagna per l'elezione al Senato di Obama, che è accusato di estorsione, riciclaggio di denaro e frode. Come se non bastasse i principali consiglieri del senatore di Chicago hanno messo a segno una serie impressionante di smentite a riguardo di quanto egli sta promettendo in campagna elettorale, mettendone in luce tutto il dilettantismo. Sembra finita, a causa di tutto questo, anche la luna di miele tra Obama e la stampa.
Al di là della situazione momentanea in cui si trova ognuno dei due candidati democratici, la loro condizione di eterni rivali potrebbe portarli al logoramento a tutto vantaggio di un McCain che si muove già da Presidente in pectore. Il partito ha tutto l'interesse a chiudere la battaglia il prima possibile e Hillary propone un ticket con Obama per non disperdere voti. Ma i sondaggi, che dimostrano che l'elettorato democratico non approverebbe questa scelta, e lo stesso Obama fanno, almeno per ora, tramontare questa possibilità. Il prossimo appuntamento con le primarie è il 22 aprile in Pennsylvania, 5 lunghe settimane nel corso delle quali il confronto si sta spostando a livello nazionale con i due candidati impegnati a convincere l'elettorato della propria superiorità. La Clinton, data per favorita in Pennsylvania, ha bisogno di una serie di vittorie nette per accorciare lo svantaggio in termini di delegati, Obama, c'è da giurarci, punterà ad arrivare alla convention di Denver ancora in testa. Un'ulteriore incognita è la possibile ripetizione delle primarie nei due Stati, Florida e Michigan, puniti per aver anticipato le consultazioni. Le sole due certezze, al momento, sono il ruolo sempre più determinante che stanno assumendo i superdelegati e la discesa in campo dello spauracchio democratico Ralph Nader, candidato indipendente, ambientalista e schierato contro gli abusi delle corporation e dei poteri forti, che nel 2000 attinse al bacino di voti dei democratici provocando la sconfitta di Al Gore.
Il candidato del GOP intanto incassa il pieno sostegno del presidente Bush, impensabile a settembre quando aveva iniziato la sua campagna senza fondi e con sondaggi negativi. Ora il partito fa quadrato attorno a lui e McCain chiede sostegno finanziario e promette di mettersi al lavoro fin da subito per selezionare il vicepresidente. In questi giorni è a capo di una delegazione parlamentare in viaggio in Medio Oriente ed Europa e proprio da Baghdad, dove ha incontrato il primo ministro iracheno Al-Maliki, ha risposto alla Clinton dandole della disfattista, e accusandola di essere indifferente di fronte ai risultati raggiunti dal generale Petraeus. McCain sostiene che non bisogna ritirarsi, almeno per il momento, dall'Iraq e vincere la guerra in Afghanistan con un maggiore apporto degli alleati. In politica interna gioca da indipendente e promette la riforma liberale dell'immigrazione, quella privatistica del sistema sanitario, la difesa dei trattati di libero scambio e la diminuzione della pressione fiscale.
A margine, ma fino ad un certo punto, c'è da registrare l'annuncio ufficiale, con un editoriale sul New York Times, della rinuncia alla corsa per le presidenziali da parte di Mike Bloomberg, di cui si era parlato per mesi. Il ricco (il suo patrimonio si aggira attorno ai 10 miliardi di dollari) e popolare sindaco di New York promette però di sostenere il più indipendente tra i candidati, colui che troverà soluzioni pratiche che sfidino le ortodossie di partito. La sua esperienza in campo economico, oltre che il suo patrimonio, fanno gola ai due che sembrano maggiormente rispondere ai requisiti richiesti da Bloomberg: Obama e McCain. Un'alleanza di questo peso avrebbe grosse e inattese ripercussioni sulla loro campagna elettorale.
La situazione è decisamente fluida e il primo segnale che il vento sta cambiando arriva dai sondaggi. L'ultimo di Zogby dà McCain vincente sulla Clinton 45% a 39%, e su Obama 44% a 39%. Il dato più interessante è che il veterano del Vietnam riuscirebbe a vincere anche in Stati tradizionalmente favorevoli ai democratici come Pennsylvania e Michigan. E' proprio vero, tra i due litiganti il terzo gode e McCain ringrazia.
1 commento:
Bella analisi ....... ma speriamo che vincano i democratici.
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