Vediamo di fare un po' d'ordine. Al momento le maggiori forze in campo per le elezioni del 13 e 14 aprile dovrebbero essere le seguenti: il Popolo della libertà federato al nord con la Lega; il Partito democratico alleato con l'Italia dei valori di Di Pietro; la Sinistra – l'arcobaleno; la Rosa bianca; la Destra; la lista pro-life di Ferrara che sembra, per dirla con il Foglio, costretta ad una splendente solitudine...o forse no. In cerca di alleanze l'Udeur di Mastella; i Radicali; il Partito socialista; l'Unione democratica. Mentre più vicino al Pdl appare il Movimento per l'autonomia di Lombardo. Quello che resta dell'Udc si avvia ufficialmente ad una campagna elettorale in solitaria salvo riavvicinamenti a più o meno vecchi compagni di partito.
Vista così la tanto propagandata semplificazione del quadro politico sembra aver raggiunto esiti assai modesti, ma se si considera che i due maggiori partiti metteranno insieme più del 70% dei voti e che solo sei liste dovrebbero essere in grado di superare lo sbarramento del 4% alla Camera, non c'è dubbio che la drastica e necessaria riduzione del numero dei partiti presenti in Parlamento che doveva arrivare attraverso l'ingegneria elettoral-istituzionale, è giunta mediante scelte politiche di un indubbio coraggio. La volontà di impedire la costituzione di gruppi parlamentari diversi dalle liste presentate alle elezioni e la traduzione di questa volontà in una modifica dei regolamenti di Camera e Senato, dovrebbe fare il resto verso una politica più gestibile e più chiara.
La situazione relativa agli assetti appare ancora fluida anche se in via di definizione, il termine ultimo è quello del 2 marzo data entro la quale i partiti dovranno depositare i simboli presso il ministero dell'Interno. Tra il 9 e il 10 marzo la partita pre-elettorale si chiuderà definitivamente con la presentazione delle liste dei candidati.
Il Pd, che annunciava con le migliori intenzioni una corsa solitaria, ha dovuto pagare un tributo alla metodologia del suo segretario: il Pd correrà da solo ma anche con l'Italia dei valori di Tonino Di Pietro. L'alleanza praticamente incondizionata, salvo vaghissime promesse di scioglimento dell'Idv dopo il voto nel Partito democratico, tra le sole forze risparmiate da “mani pulite” (post-comunisti e democristiani di sinistra) e i forcaioli dell'inquisitore, getta una luce sinistra sulle scelte in tema di giustizia del partito di Veltroni. In più si sacrifica la tanto sbandierata corsa solitaria per giungere ad un accordo con uno dei più indisciplinati ministri del governo Prodi solo perché questo è connivente con l'antipolitica di Grillo, in grado di veicolare qualche voto, e per impedirne l'alleanza con la Rosa Bianca. Davvero nuova politica. L'operazione risulta tanto più singolare se si considera che quelle porte che si spalancano per Di Pietro vengono sprangate in faccia a socialisti e radicali che sembrano avviati all'estinzione salvo un'alleanza tattica tra loro, tanto più improbabile dopo il fallimento del progetto della Rosa nel pugno.
Non c'è dubbio che in questo inizio di campagna elettorale Veltroni appare in splendida forma. Ha tenuto il primo discorso nella cornice francescana di Spello, ha lanciato il suo scintillante “Si può fare”, a metà tra il Yes we can di Obama e Frankenstein junior , ha tirato a lucido il bus, ha serenamente, pacatamente deciso di rilanciare il suo low profile rinunciando a fare da capolista. Ieri, di fronte all'assemblea costituente del partito, ha presentato le sue dodici proposte “innovative” per l'Italia e poco importa se sono la fotocopia del programma di Berlusconi del 2001. Veltroni è impegnato nel tanto colossale quanto improbo tentativo di imballare al meglio un prodotto scadente. Si atteggia a nuovo che avanza, getta fumo negli occhi e nasconde la polvere sotto i tappeti. Non parla dei fallimenti del governo Prodi, composto per il 70% da esponenti del Partito democratico, non dice se Vincenzo Visco, principale responsabile delle politiche fiscali vessatorie messe in atto dal centrosinistra, oltre che della rimozione dei vertici della guardia di finanza lombarda che indagavano su Unipol, sarà compreso nell'eventuale compagine di governo. Non parla della crescita della spesa pubblica di questi ultimi 20 mesi, non dice se di questa fase politica tutta nuova farà parte anche Antonio Bassolino, non parla della lottizzazione più selvaggia che ha animato il governo centrale quanto quello di Roma. L'idea che si ha, ascoltando gli esponenti del Pd, è che siano appena arrivati, che non abbiano responsabilità né passato.
La cosa paradossale è che il centrodestra è troppo impegnato a farsi del male per reagire a queste mistificazioni. Veltroni ha oggi un indubbio vantaggio di immagine che potrebbe scalfire il vantaggio di consensi che il Popolo della libertà ancora detiene saldamente.
La rottura con l'Udc ha rappresentato insieme una sconfitta e un elemento di chiarezza non senza vantaggi. Una sconfitta perché il Pdl rappresentava la grande opportunità di riunire tutti coloro che si riconoscono nel Partito popolare europeo, opportunità che non è stata colta da Casini che ha preferito una scelta solitaria dettata principalmente da questioni personali. E' un elemento di chiarezza perché il Popolo della libertà ha dettato una linea che non ammette terze vie: o dentro, accettando di mettere da parte la propria identità e confluendo in una forza plurale e moderna, o fuori. Così il Pdl in virtù di una scelta di coraggio ha rinunciato non solo all'Udc, ma anche alla Destra di Storace e al movimento fondato da Baccini, Pezzotta e Tabacci il che, se costituisce la costosa rinuncia a svariati punti percentuali nei consensi, rappresenta al contempo un investimento sulla stabilità, nell'eventualità più che probabile che il Pdl sia chiamato alla prova del governo dopo le elezioni.
La parabola discendente dell'Udc, segnata dalla continua diaspora di questi ultimi anni (Rotondi, Lombardo, Mongiello, Follini, Giovanardi, Tabacci, Baccini) pare accellerarsi dopo l'annuncio di non voler confluire nel Pdl. In tutta Italia molti esponenti dell'Udc a tutti i livelli stanno aderendo autonomamente al progetto del partito unitario del centrodestra. E mentre pare ormai certa la federazione del Pdl con il Movimento per le autonomie di Raffaele Lombardo nel sud (federazione che creerebbe all'Udc non pochi problemi nello scenario siciliano da sempre suo importante serbatoio elettorale) il partito di Casini pensa ad un rassemblement di centro con la Rosa Bianca e l'Udeur.
Piccola notazione finale per quanto riguarda la lista pro-life lanciata da Giuliano Ferrara. Il direttore del Foglio ha annunciato ufficiosamente, nella trasmissione In mezz'ora, l'apparentamento con il Pdl. Al di là di quanto potrà accadere nelle prossime ore, il tema dell'aborto come gli altri temi etici, su cui nel Pdl c'è libertà di coscienza, non entrerà in campagna elettorale. Lo ha affermato lo stesso Silvio Berlusconi.
Il quadro si va quindi componendo, la partita sarà certamente lunga e difficile. Speriamo non lo sia troppo.
Vista così la tanto propagandata semplificazione del quadro politico sembra aver raggiunto esiti assai modesti, ma se si considera che i due maggiori partiti metteranno insieme più del 70% dei voti e che solo sei liste dovrebbero essere in grado di superare lo sbarramento del 4% alla Camera, non c'è dubbio che la drastica e necessaria riduzione del numero dei partiti presenti in Parlamento che doveva arrivare attraverso l'ingegneria elettoral-istituzionale, è giunta mediante scelte politiche di un indubbio coraggio. La volontà di impedire la costituzione di gruppi parlamentari diversi dalle liste presentate alle elezioni e la traduzione di questa volontà in una modifica dei regolamenti di Camera e Senato, dovrebbe fare il resto verso una politica più gestibile e più chiara.
La situazione relativa agli assetti appare ancora fluida anche se in via di definizione, il termine ultimo è quello del 2 marzo data entro la quale i partiti dovranno depositare i simboli presso il ministero dell'Interno. Tra il 9 e il 10 marzo la partita pre-elettorale si chiuderà definitivamente con la presentazione delle liste dei candidati.
Il Pd, che annunciava con le migliori intenzioni una corsa solitaria, ha dovuto pagare un tributo alla metodologia del suo segretario: il Pd correrà da solo ma anche con l'Italia dei valori di Tonino Di Pietro. L'alleanza praticamente incondizionata, salvo vaghissime promesse di scioglimento dell'Idv dopo il voto nel Partito democratico, tra le sole forze risparmiate da “mani pulite” (post-comunisti e democristiani di sinistra) e i forcaioli dell'inquisitore, getta una luce sinistra sulle scelte in tema di giustizia del partito di Veltroni. In più si sacrifica la tanto sbandierata corsa solitaria per giungere ad un accordo con uno dei più indisciplinati ministri del governo Prodi solo perché questo è connivente con l'antipolitica di Grillo, in grado di veicolare qualche voto, e per impedirne l'alleanza con la Rosa Bianca. Davvero nuova politica. L'operazione risulta tanto più singolare se si considera che quelle porte che si spalancano per Di Pietro vengono sprangate in faccia a socialisti e radicali che sembrano avviati all'estinzione salvo un'alleanza tattica tra loro, tanto più improbabile dopo il fallimento del progetto della Rosa nel pugno.
Non c'è dubbio che in questo inizio di campagna elettorale Veltroni appare in splendida forma. Ha tenuto il primo discorso nella cornice francescana di Spello, ha lanciato il suo scintillante “Si può fare”, a metà tra il Yes we can di Obama e Frankenstein junior , ha tirato a lucido il bus, ha serenamente, pacatamente deciso di rilanciare il suo low profile rinunciando a fare da capolista. Ieri, di fronte all'assemblea costituente del partito, ha presentato le sue dodici proposte “innovative” per l'Italia e poco importa se sono la fotocopia del programma di Berlusconi del 2001. Veltroni è impegnato nel tanto colossale quanto improbo tentativo di imballare al meglio un prodotto scadente. Si atteggia a nuovo che avanza, getta fumo negli occhi e nasconde la polvere sotto i tappeti. Non parla dei fallimenti del governo Prodi, composto per il 70% da esponenti del Partito democratico, non dice se Vincenzo Visco, principale responsabile delle politiche fiscali vessatorie messe in atto dal centrosinistra, oltre che della rimozione dei vertici della guardia di finanza lombarda che indagavano su Unipol, sarà compreso nell'eventuale compagine di governo. Non parla della crescita della spesa pubblica di questi ultimi 20 mesi, non dice se di questa fase politica tutta nuova farà parte anche Antonio Bassolino, non parla della lottizzazione più selvaggia che ha animato il governo centrale quanto quello di Roma. L'idea che si ha, ascoltando gli esponenti del Pd, è che siano appena arrivati, che non abbiano responsabilità né passato.
La cosa paradossale è che il centrodestra è troppo impegnato a farsi del male per reagire a queste mistificazioni. Veltroni ha oggi un indubbio vantaggio di immagine che potrebbe scalfire il vantaggio di consensi che il Popolo della libertà ancora detiene saldamente.
La rottura con l'Udc ha rappresentato insieme una sconfitta e un elemento di chiarezza non senza vantaggi. Una sconfitta perché il Pdl rappresentava la grande opportunità di riunire tutti coloro che si riconoscono nel Partito popolare europeo, opportunità che non è stata colta da Casini che ha preferito una scelta solitaria dettata principalmente da questioni personali. E' un elemento di chiarezza perché il Popolo della libertà ha dettato una linea che non ammette terze vie: o dentro, accettando di mettere da parte la propria identità e confluendo in una forza plurale e moderna, o fuori. Così il Pdl in virtù di una scelta di coraggio ha rinunciato non solo all'Udc, ma anche alla Destra di Storace e al movimento fondato da Baccini, Pezzotta e Tabacci il che, se costituisce la costosa rinuncia a svariati punti percentuali nei consensi, rappresenta al contempo un investimento sulla stabilità, nell'eventualità più che probabile che il Pdl sia chiamato alla prova del governo dopo le elezioni.
La parabola discendente dell'Udc, segnata dalla continua diaspora di questi ultimi anni (Rotondi, Lombardo, Mongiello, Follini, Giovanardi, Tabacci, Baccini) pare accellerarsi dopo l'annuncio di non voler confluire nel Pdl. In tutta Italia molti esponenti dell'Udc a tutti i livelli stanno aderendo autonomamente al progetto del partito unitario del centrodestra. E mentre pare ormai certa la federazione del Pdl con il Movimento per le autonomie di Raffaele Lombardo nel sud (federazione che creerebbe all'Udc non pochi problemi nello scenario siciliano da sempre suo importante serbatoio elettorale) il partito di Casini pensa ad un rassemblement di centro con la Rosa Bianca e l'Udeur.
Piccola notazione finale per quanto riguarda la lista pro-life lanciata da Giuliano Ferrara. Il direttore del Foglio ha annunciato ufficiosamente, nella trasmissione In mezz'ora, l'apparentamento con il Pdl. Al di là di quanto potrà accadere nelle prossime ore, il tema dell'aborto come gli altri temi etici, su cui nel Pdl c'è libertà di coscienza, non entrerà in campagna elettorale. Lo ha affermato lo stesso Silvio Berlusconi.
Il quadro si va quindi componendo, la partita sarà certamente lunga e difficile. Speriamo non lo sia troppo.
2 commenti:
riduciamo i partit
ma pure le chiacchiere
La prossima settimana il PdL presenterà il proprio programma che, a detta della Brambilla (ma che ca.. capesc),conterrà oltre ad una pedissequa elencazione di buoni propositi, tutti i provvedimenti dei primi cento giorni (che sarebbero, in caso di vittoria, solamente da formalizzare in parlamento in quanto già approvati dal partito).Questo è un elemento di assoluta chiarezza in quanto l'elettore potrà conoscere più dettagliatamente le modalità operative e di copertura finanziaria delle iniziative.
Con tutta franchezza, pur essendo ormai seccato e nauseato da ogni tipo di discorso intrapreso da tutti i nostri politici, soprattutto in campagna elettorale, credo che (e staremo a vedere) il PdL meriterà il mio voto se e solo se mi garantirà opportuna chiarezza su quanto segue: 1. se e come ridurrà la pressione fiscale sulle famiglie; 2. se e come ridurrà la pressione fiscale sulle PICCOLE e MEDIE IMPRESE (non solo a favore di Fiat, Mediaset, Telecom, Eni, ecc.); 3. se e come provvederà a disporre incentivi a favore delle piccole imprese "veramente" avviate da giovani imprenditori (e non prosecuzioni di rami d'azienda già esistenti di proprietà del caro papino il quale avrà nel frattempo usufruito di altrettante agevolazioni) e come effettuerà i relativi controlli sulle innumerevoli e consolidate frodi possibili (le conoscono anche i bambini del nido); 4. se mi diranno quando cavolo e se andrò in pensione; 5. Quando cavolo completeranno (o meglio iniziaeranno) l'allargamento della S.S 96. Chiedo "solo" questo. Non so se sarò soddisfatto. Di certo il PD, con quella "caricatura di programma" mi dice tutto e niente.Se notate mai diranno "COME Faremo" ma esordiranno sempre, e lì termina tutto, con "Cosa FAremo".
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