Benedetto Della Vedova ha parlato di eterogenesi dei fini riferendosi al fatto che la moratoria sull'aborto lanciata da Giuliano Ferrara sul Foglio, sia scaturita dal voto favorevole dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite alla moratoria sulla pena di morte. Le due cose hanno ben poco in comune. La provocazione/riflessione di Ferrara parte da una domanda semplice e fondamentale insieme: se la vita di un uomo che si è macchiato di un delitto è sacra, come può non esserlo quella di un innocente ancora nel ventre materno?
La sua proposta è quella di inserire nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo parole che esplicitino il diritto alla vita di ogni individuo dal concepimento alla morte. Il direttore del Foglio dichiara più volte di non voler criminalizzare le donne che decidono di abortire o, provincialmente, assaltare la legge 194/1978, bensì suscitare un moto nelle coscienze. Che si accorgano delle proporzioni che il fenomeno ha assunto, dall'aborto selettivo in India e in Cina, alla facilità con cui vi si ricorre in Occidente e che sconfina nell'eugenetica. Il concetto essenziale è che il feto ha diritto alla vita e non esiste un generalizzato diritto di uccidere.
E le coscienze le ha smosse Ferrara. La sua moratoria ha spaccato trasversalmente i poli e i partiti, è entrata nell'assemblea costituente del Pd intenta a stilare la sua carta dei valori, ha registrato l'assenso delle gerarchie ecclesiastiche da Ruini a Bagnasco fino a Ratzinger, ha riaperto, com'era prevedibile, il dibattito sulla legge 194.
La battaglia di Ferrara è una battaglia laica che fa proprie le parole di Norberto Bobbio quando in un'intervista rilasciata a Giulio Nascimbeni per il Corriere della sera l'8 maggio del1981, parlava del diritto del concepito a nascere come di un diritto fondamentale in conflitto con quello della donna che per ragioni di salute o di scelta non vuole avere figli e con quello della società ad usare l'aborto come mezzo di controllo delle nascite. Bobbio affermava a questo proposito che i laici non avrebbero dovuto consegnare ai credenti l'imperativo categorico del non uccidere.
Fin qui i termini dell'iniziativa condotta da Ferrara. Una obiezione di fondo che a essa si può fare riguarda, per dirla ancora con Della Vedova, l'indifferentismo etico dal quale essa parte. Si mettono sullo stesso piano l'omicidio e l'aborto, il ricorso alla diagnosi prenatale, e verrebbe da equiparare ad essa la diagnosi pre-impianto, all'eugenetica. Se questo trova riscontro nelle legittime posizioni della Chiesa cattolica, che mette sullo stesso piano omicidio, infanticidio, aborto e uso del preservativo, non è accettabile sul piano politico. La politica è chiamata, che piaccia o no, a stabilire una gerarchia tra i diritti in gioco, a trattare con pragmatismo il tema dell'aborto contestualizzandolo all'interno del tessuto sociale e delle effettive circostanze nelle quali esso ha luogo, a non fare una pericolosa confusione.
La politica ha l'obbligo della tutela dei diritti umani. In Cina i metodi di controllo demografico, che consentono un solo figlio per coppia, hanno provocato l'accrescimento del ricorso all'aborto selettivo. Il 12% delle gravidanze di feti di sesso femminile termina con l'aborto. In India sono stati addirittura proibiti i test per determinare il sesso del nascituro per arginare il fenomeno dell'aborto clandestino. La tutela dei diritti umani impone in quei Paesi un intervento volto a combattere questo fenomeno che ha assunto proporzioni tali da portare alla aberrante non nascita di 200 milioni di bambine.
In ex-Jugoslavia, in Ruanda, in Darfur lo stupro etnico è stato un'arma perché le donne partorissero il figlio del nemico. Quali argomenti si possono offrire ad una donna che in un caso del genere, o anche in una situazione di “semplice” violenza sessuale decide di interrompere la gravidanza? In molti Paesi dove l'aborto non è legale le donne che decidono di ricorrervi rischiano, oltre che la propria salute, anche l'imprigionamento o altre sanzioni penali. La tutela dei diritti umani impone che sia garantita loro la possibilità di abortire avendo accesso a trattamenti medici adeguati e non rischiando la propria libertà.
Il ricorso alla moratoria (anche tecnicamente e terminologicamente impropria) assimilerebbe casi diversissimi come questi. Va inoltre ribadito con forza che la tutela dei diritti umani impone che in tutto il mondo si contrasti il ricorso all'aborto. Lo si faccia con la prevenzione e la contraccezione , con misure legislative ed educative.
Venendo al dibattito nostrano si ha molto spesso la sgradevole sensazione che si preferisca parlare dei massimi sistemi piuttosto che occuparsi di cose concrete. Paola Liberapace su Ideazione parla dell'esigenza di una moratoria per la maternità riferendosi al fatto che uno dei primi passi per scoraggiare l'aborto sarebbe un vero sostegno alla genitorialità. Secondo un'indagine Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori) confermata da Il Sole 24 ore, la maternità rappresenta ancora la causa principale di abbandono del posto di lavoro e, al contrario di quanto si afferma in linea di principio, si fa molto poco, rispetto ad altri paesi europei, per quelle politiche per la famiglia volte a rafforzare in particolare il reddito delle madri singole e a mettere a disposizione delle coppie, servizi e incentivi economici a favore della natalità.
La legge 194/1978 mette in evidenza sin dalla sua rubrica (Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza) la stretta correlazione che deve esserci tra le politiche di disincentivo all'aborto e la sua legalizzazione che scongiura la piaga degli aborti clandestini e offre imprescindibili garanzie di tutela della salute delle donne. Norberto Bobbio in quella stessa intervista che citavo più in alto definisce la 194 come una legge in grado di risolvere un problema umanamente e socialmente rilevante.
A 30 anni dalla sua introduzione gli aborti si sono ridotti del 45% e il tasso di abortività è passato dalle 16,9 interruzioni su 1000 donne del 1983 alle 9,6 di oggi. Uno dei tassi più bassi al mondo. Il 25,9% delle donne che in media annualmente effettua una interruzione di gravidanza nel nostro Paese è rappresentato da immigrate e, considerando che l'aborto clandestino ormai riguarda solo questa fascia della popolazione, vi è l'esigenza di una tutela sociale mirata.
Per quanto riguarda l'attività di prevenzione e sostegno alla genitorialità svolta dai consultori essa viene presa a modello dalla Organizzazione mondiale della sanità, nonostante la fatiscenza delle strutture in cui molto spesso sono costretti ad operare e l'utilizzo di personale precario.
Dai dati quindi emerge che l'applicazione della legge 194 ha dato finora buoni risultati. Certo non si possono nascondere alcuni cedimenti come la tendenza da parte di alcuni assessorati regionali alla Sanità o, addirittura, da parte di singoli ospedali ad applicarla autonomamente. L'applicazione della legge senza linee guida nazionali ha portato ad esempio a casi di non corretta sperimentazione della pillola abortiva Ru486 che, come successo all'ospedale Sant'Anna di Torino, è stata somministrata a donne che poi hanno abortito al di fuori della struttura ospedaliera in aperta violazione della legge stessa. La richiesta che viene da più parti, ad esempio dal coordinatore nazionale di Forza Italia, Bondi, dell'emanazione dei regolamenti attuativi, anche in relazione all'uso dell'aborto farmacologico, contestualmente all'adeguamento della legge alle nuove conoscenze scientifiche e diagnostiche, è un fatto di puro buon senso.
E solo di buon senso ha bisogno il dibattito sull'aborto innescato dalla proposta di moratoria lanciata da Giuliano Ferrara. Di buon senso e di pluralismo al di là di quel furore ideologico che sembra imperante.
La sua proposta è quella di inserire nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo parole che esplicitino il diritto alla vita di ogni individuo dal concepimento alla morte. Il direttore del Foglio dichiara più volte di non voler criminalizzare le donne che decidono di abortire o, provincialmente, assaltare la legge 194/1978, bensì suscitare un moto nelle coscienze. Che si accorgano delle proporzioni che il fenomeno ha assunto, dall'aborto selettivo in India e in Cina, alla facilità con cui vi si ricorre in Occidente e che sconfina nell'eugenetica. Il concetto essenziale è che il feto ha diritto alla vita e non esiste un generalizzato diritto di uccidere.
E le coscienze le ha smosse Ferrara. La sua moratoria ha spaccato trasversalmente i poli e i partiti, è entrata nell'assemblea costituente del Pd intenta a stilare la sua carta dei valori, ha registrato l'assenso delle gerarchie ecclesiastiche da Ruini a Bagnasco fino a Ratzinger, ha riaperto, com'era prevedibile, il dibattito sulla legge 194.
La battaglia di Ferrara è una battaglia laica che fa proprie le parole di Norberto Bobbio quando in un'intervista rilasciata a Giulio Nascimbeni per il Corriere della sera l'8 maggio del1981, parlava del diritto del concepito a nascere come di un diritto fondamentale in conflitto con quello della donna che per ragioni di salute o di scelta non vuole avere figli e con quello della società ad usare l'aborto come mezzo di controllo delle nascite. Bobbio affermava a questo proposito che i laici non avrebbero dovuto consegnare ai credenti l'imperativo categorico del non uccidere.
Fin qui i termini dell'iniziativa condotta da Ferrara. Una obiezione di fondo che a essa si può fare riguarda, per dirla ancora con Della Vedova, l'indifferentismo etico dal quale essa parte. Si mettono sullo stesso piano l'omicidio e l'aborto, il ricorso alla diagnosi prenatale, e verrebbe da equiparare ad essa la diagnosi pre-impianto, all'eugenetica. Se questo trova riscontro nelle legittime posizioni della Chiesa cattolica, che mette sullo stesso piano omicidio, infanticidio, aborto e uso del preservativo, non è accettabile sul piano politico. La politica è chiamata, che piaccia o no, a stabilire una gerarchia tra i diritti in gioco, a trattare con pragmatismo il tema dell'aborto contestualizzandolo all'interno del tessuto sociale e delle effettive circostanze nelle quali esso ha luogo, a non fare una pericolosa confusione.
La politica ha l'obbligo della tutela dei diritti umani. In Cina i metodi di controllo demografico, che consentono un solo figlio per coppia, hanno provocato l'accrescimento del ricorso all'aborto selettivo. Il 12% delle gravidanze di feti di sesso femminile termina con l'aborto. In India sono stati addirittura proibiti i test per determinare il sesso del nascituro per arginare il fenomeno dell'aborto clandestino. La tutela dei diritti umani impone in quei Paesi un intervento volto a combattere questo fenomeno che ha assunto proporzioni tali da portare alla aberrante non nascita di 200 milioni di bambine.
In ex-Jugoslavia, in Ruanda, in Darfur lo stupro etnico è stato un'arma perché le donne partorissero il figlio del nemico. Quali argomenti si possono offrire ad una donna che in un caso del genere, o anche in una situazione di “semplice” violenza sessuale decide di interrompere la gravidanza? In molti Paesi dove l'aborto non è legale le donne che decidono di ricorrervi rischiano, oltre che la propria salute, anche l'imprigionamento o altre sanzioni penali. La tutela dei diritti umani impone che sia garantita loro la possibilità di abortire avendo accesso a trattamenti medici adeguati e non rischiando la propria libertà.
Il ricorso alla moratoria (anche tecnicamente e terminologicamente impropria) assimilerebbe casi diversissimi come questi. Va inoltre ribadito con forza che la tutela dei diritti umani impone che in tutto il mondo si contrasti il ricorso all'aborto. Lo si faccia con la prevenzione e la contraccezione , con misure legislative ed educative.
Venendo al dibattito nostrano si ha molto spesso la sgradevole sensazione che si preferisca parlare dei massimi sistemi piuttosto che occuparsi di cose concrete. Paola Liberapace su Ideazione parla dell'esigenza di una moratoria per la maternità riferendosi al fatto che uno dei primi passi per scoraggiare l'aborto sarebbe un vero sostegno alla genitorialità. Secondo un'indagine Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori) confermata da Il Sole 24 ore, la maternità rappresenta ancora la causa principale di abbandono del posto di lavoro e, al contrario di quanto si afferma in linea di principio, si fa molto poco, rispetto ad altri paesi europei, per quelle politiche per la famiglia volte a rafforzare in particolare il reddito delle madri singole e a mettere a disposizione delle coppie, servizi e incentivi economici a favore della natalità.
La legge 194/1978 mette in evidenza sin dalla sua rubrica (Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza) la stretta correlazione che deve esserci tra le politiche di disincentivo all'aborto e la sua legalizzazione che scongiura la piaga degli aborti clandestini e offre imprescindibili garanzie di tutela della salute delle donne. Norberto Bobbio in quella stessa intervista che citavo più in alto definisce la 194 come una legge in grado di risolvere un problema umanamente e socialmente rilevante.
A 30 anni dalla sua introduzione gli aborti si sono ridotti del 45% e il tasso di abortività è passato dalle 16,9 interruzioni su 1000 donne del 1983 alle 9,6 di oggi. Uno dei tassi più bassi al mondo. Il 25,9% delle donne che in media annualmente effettua una interruzione di gravidanza nel nostro Paese è rappresentato da immigrate e, considerando che l'aborto clandestino ormai riguarda solo questa fascia della popolazione, vi è l'esigenza di una tutela sociale mirata.
Per quanto riguarda l'attività di prevenzione e sostegno alla genitorialità svolta dai consultori essa viene presa a modello dalla Organizzazione mondiale della sanità, nonostante la fatiscenza delle strutture in cui molto spesso sono costretti ad operare e l'utilizzo di personale precario.
Dai dati quindi emerge che l'applicazione della legge 194 ha dato finora buoni risultati. Certo non si possono nascondere alcuni cedimenti come la tendenza da parte di alcuni assessorati regionali alla Sanità o, addirittura, da parte di singoli ospedali ad applicarla autonomamente. L'applicazione della legge senza linee guida nazionali ha portato ad esempio a casi di non corretta sperimentazione della pillola abortiva Ru486 che, come successo all'ospedale Sant'Anna di Torino, è stata somministrata a donne che poi hanno abortito al di fuori della struttura ospedaliera in aperta violazione della legge stessa. La richiesta che viene da più parti, ad esempio dal coordinatore nazionale di Forza Italia, Bondi, dell'emanazione dei regolamenti attuativi, anche in relazione all'uso dell'aborto farmacologico, contestualmente all'adeguamento della legge alle nuove conoscenze scientifiche e diagnostiche, è un fatto di puro buon senso.
E solo di buon senso ha bisogno il dibattito sull'aborto innescato dalla proposta di moratoria lanciata da Giuliano Ferrara. Di buon senso e di pluralismo al di là di quel furore ideologico che sembra imperante.
3 commenti:
Splendido post, condivido tutto...anche se non possiamo nasconderci dietro un dito.
C'è chi, profittando dell'iniziativa di Ferrara (e lo so, perchè di commenti favorevoli all'abolizione della 194 ne ho ricevuti parecchi), ha avanzato appunto l'ipotesi di rendere illegale la prassi...inoltre, come giustamente hai rilevato, un conto è parlare della "politica" eugenica praticata dalla Cina, e un conto è parlare di interruzione di gravidanza nel nostro Paese..si incrementi la prevenzione, l'assistenza alla maternità, le informazioni sulla contraccezione....il problema è che comunque c'è e ci sarà sempre, chi quella legge vuole abolirla, perchè considera l'aborto un crimine...per questo il tema è scivoloso...
Caro Luciano,
il tema dell'aborto è quello che più di mette in difficoltà. E' un tema così delicato, così critico che riesco ad esprimermi in proposito solo con molta cautela.
Credo che sia importante distinguere l'essere contro l'aborto (e io lo sono, anzi probabilmente lo siamo tutti) dall'essere contro il diritto delle donne ad abortire legalmente e ad essere assistite in questa operazione.
Di certo, è importante una campagna di sensibilizzazione perché ogni donna comprenda l'importanza del dono della maternità, anche quando imprevista, e diventi un momento di gioia e non di conflitto. E' importante che la società si impegni affinché vengano create le condizioni tali da dare alle donne la serenità per voler portare avanti la maternità. E' importante l'educazione sessuale e l'educazione alla contraccezione.
E' importante pubblicizzare maggiormente le alternative che si presentano alla futura mamma e, in particolare, quella di partorire in maniera anonima e dare il figlio in adozione. Ma soprattutto è importante aggiustare la macchina scricciolante delle adozioni.
scusa, "scricchiolante"
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