Quando il ministro dell’economia Padoa Schioppa dice che pagare le tasse è bellissimo dimentica che sovente i soldi dei contribuenti finiscono per essere letteralmente buttati dalla finestra o peggio nelle tasche di uno sparuto quanto fortunato gruppo di persone. I tre esempi qui di seguito sono l’emblema di uno scandaloso sistema di sprechi e di cattivo impiego delle risorse pubbliche.
Che cinema!
L’inchiesta di Gabriella Mecucci apparsa su L’Occidentale ha messo in risalto il perverso rapporto che lega l’industria del cinema allo Stato. Dal 1965 il cinema italiano ha ricevuto sovvenzioni pubbliche, questi finanziamenti però andavano restituiti fino a quando, nel 1994, un provvedimento del governo Ciampi dispose che diventassero a fondo perduto. L’accesso ai fondi divenne ancora più facile quando Walter Veltroni fu nominato vicepresidente del Consiglio e ministro dei beni e delle attività culturali con competenza diretta sullo spettacolo.
Da allora, se si esclude la contestatissima attività del ministro Urbani che tentò di arginare gli effetti di questo modo di operare, una cifra tra il 70 e il 90% della sovvenzione non rientra più nelle casse pubbliche. Dal 1994 ad oggi lo Stato ha erogato 730 milioni di euro. A fronte di questo massiccio impiego di risorse l’incasso delle produzioni italiane all’estero oscilla tra lo 0,3 e l’1% del totale mentre in patria il consumo è sceso sotto la media europea.
Le commissioni che decidono sulla distribuzione dei fondi concedono denaro in maniera del tutto disinvolta spesso erogando finanziamenti milionari a film che, quando riescono ad arrivare nelle sale, non vanno al di là di un incasso di poche migliaia di euro.
Nonostante tutto ciò registi e produttori si lamentano della mancanza di fondi e a queste lamentele il potere politico risponde con proposte di legge tese ad introdurre aggravi fiscali per i soggetti che trasmettono film, emittenti televisive innanzitutto. Questo raggiungerebbe uno scopo paradossale, lo Stato finanzierebbe film che nessuno vede nelle sale e che nessuna emittente sarebbe interessato a comprare. In molti Paesi europei il tax shelter, un sistema che al contrario prevede defiscalizzazioni e incentivi al reinvestimento degli utili, ha rilanciato il mercato cinematografico senza l’introduzione di misure vessatorie tese a finanzialre nient’altro che lo spreco.
Ma il foraggiamento pubblico al cinema non finisce qui. Dino Risi dice che in Italia ci sono più rassegne che film e non ha tutti i torti, se ne contano più di 250 tra feste e festival del cinema che lo Stato finanzia per 2 milioni di euro ai quali vanno aggiunti i fondi stanziati dalle regioni e dagli altri enti locali.
La Festa del cinema di Roma di quest’anno è costata 15 milioni di euro tra sovvenzioni pubbliche e private. Una mole incredibile di denaro e di potere tutta rivolta a veicolare consenso in cui il cinema è solo una comparsa se si considera che le premiere presentate quest’anno non erano tali perché erano le stesse del Festival di Toronto. Inoltre i film premiati alla Festa del 2006 non hanno avuto grande fortuna soprattutto se confrontati con i risultati conseguiti dai film premiati a Venezia.
Che si tratti di finanziamenti all’industria della cinematografia o alle rassegne, il cinema diventa un grande strumento di propaganda e non importa se vengono buttati milioni che potrebbero essere usati per cose ben più serie, l’importante è vendere sogni e ricavarne voti.
Italia.it: quanto costa un fallimento
Italia.it è il portale nazionale del turismo nato per promuovere sul web il patrimonio culturale, ambientale, agroalimentare ed enogastronomico del nostro Paese. Quanti soldi ci siano voluti per realizzarlo è in realtà un mistero, sono comunque tanti…tantissimi, soprattutto se si considera che stiamo parlando di un sito internet. Le fonti più attendibili (Il Sole 24 ore) dicono che a fronte di uno stanziamento di complessivi 58 milioni di euro ne sarebbero stati finora effettivamente investiti 35,9: 21 milioni per i contenuti regionali, 4 per quelli nazionali, 7,8 per la piattaforma tecnologica, la parte restante per la chiusura del “cantiere” e la promozione. Il solo logo (la scritta “Italia” in cima al sito) è costata 100 mila euro.
Con questo fiume di denaro impiegato uno si aspetta che Italia.it sia il sito migliore e il più visitato dell’universo. Purtroppo non è così. Anzi. Dopo un inizio tormentato (una gestazione lunghissima, due presentazioni ufficiali e persino una commissione d’indagine del ministro Nicolais) Italia.it è stato stroncato dalla rete. Tralasciando che l’era dei portali si è conclusa alla fine degli anni ’90, italia.it si riduce ad essere un insieme di semplici informazioni, reperibili attraverso i motori di ricerca, per di più molto spesso infarcite di autentici strafalcioni. Non è finita, dal punto di vista tecnico ci sono una serie di problemi soprattutto riguardanti la compatibilità e l’accessibilità ai soggetti disabili. Alexa.com considera il portale del turismo italiano un sito dal traffico scarsissimo.
Dicevo che l’ammontare esatto del denaro speso per Italia.it rimane un mistero perché il governo si è rifiutato di fornire la documentazione relativa all’intero progetto a seguito della richiesta avanzata da Scandaloitaliano (sito che conduce un costante e minuzioso monitoraggio su tutte le tare di Italia.it) e sottoscritta da 1500 persone, che si sono fatte interpreti della montante indignazione nei confronti dell’intera vicenda.
E’ notizia degli ultimi giorni la dichiarazione del ministro Rutelli durante un incontro del Comitato nazionale per il turismo: "Facciano qualcosa, altrimenti è meglio lasciar perdere". Il portale più costoso ed inefficiente del mondo sembra così avviato malinconicamente alla chiusura definitiva tanto più che la sua piattaforma tecnologica appare ormai superata e le regioni non la considerano più all’altezza della propaganda del turismo locale.
La storia di Italia.it è l’ulteriore prova (si veda il caso del ddl Levi) della profonda ignoranza con la quale la politica si rapporta alla rete e alle sue esigenze. Ma questo è il meno peggio, il mastodontico spreco di denaro pubblico è una vergogna e si commenta da solo come da sola si commenta la volontà da parte del governo di insabbiare il caso negando l’accesso alla documentazione che spiega come si sia potuto spendere tanto per un sito internet.
Paolo Valdemarin, fondatore della società di sviluppo web, Evectors, uno che si intende di cose della rete, in una intervista a la stampa.it dichiara che avrebbe speso un quinto della cifra impiegata dal governo per creare uno strumento wiki, aperto alla collaborazione dei singoli, collegato a Wikipedia, nella quale sarebbero confluite tutte le informazioni circa le principali attrazioni culturali italiane. Insomma uno strumento moderno, funzionale, utile e soprattutto immensamente meno costoso.
SprecheRAI
La scorsa settimana Il Giornale ha pubblicato un’inchiesta di Fabrizio De Feo su RaiUtile, Rainews24 e Rai International. Le sorprese non sono mancate. RaiUtile, il canale di servizio in onda sul satellite, sul digitale terrestre e sul web ha registrato a settembre un ascolto medio giornaliero di 737 unità per uno share dello 0,00% a fronte di un costo di 4 milioni di euro ed un organico di 40 persone, De Feo ricorda inoltre che RaiUtile rappresenta un esperimento per la trasmissione sul digitale terrestre per finanziare il quale è stato disposto uno specifico aumento del canone...
Le cose vanno peggio se si prende in considerazione Rainews24 la rete all news della Rai nata nel 1999. Se qui gli ascolti medi giornalieri raggiungono le 3 mila unità per uno share dello 0,03%, il costo dell’intera baracca è di 35 milioni di euro con un organico di più di 100 giornalisti. SkyTg24 raggiunge un numero di contatti quotidiani dieci volte superiore.
Mentre i fondi per Rainews24, nonostante i risultati tutt’altro che lusinghieri, restano intatti, il nuovo piano industriale prevede una sottrazione di risorse per Rainet, la società che si occupa dei siti web del gruppo. Rainet a fronte di una attribuzione di 6 milioni di euro ha fatto registrare un record di oltre 84 milioni di pagine viste a settembre e 4,6 milioni di utenti registrati. Un potenziale inestimabile, soprattutto in previsione del potenziamento dell’area news sul web, di cui l’azienda sembra non accorgersi.
L’ultimo atto dell’inchiesta de Il Giornale si è occupato di Rai International definita da De Feo una rete di soli capi dato che su 63 giornalisti che vi lavorano, 22 hanno la nomina di caposervizio con il dispendio, in termini di emolumenti, che questo comprensibilmente comporta e nonostante la riduzione del bilancio passato da 38 a 27 milioni di euro. Ma questo è solo l’esempio più eclatante degli sprechi che Rai International (e ahimè in generale la Rai) promuove nella sua quotidiana gestione.
Che cinema!
L’inchiesta di Gabriella Mecucci apparsa su L’Occidentale ha messo in risalto il perverso rapporto che lega l’industria del cinema allo Stato. Dal 1965 il cinema italiano ha ricevuto sovvenzioni pubbliche, questi finanziamenti però andavano restituiti fino a quando, nel 1994, un provvedimento del governo Ciampi dispose che diventassero a fondo perduto. L’accesso ai fondi divenne ancora più facile quando Walter Veltroni fu nominato vicepresidente del Consiglio e ministro dei beni e delle attività culturali con competenza diretta sullo spettacolo.
Da allora, se si esclude la contestatissima attività del ministro Urbani che tentò di arginare gli effetti di questo modo di operare, una cifra tra il 70 e il 90% della sovvenzione non rientra più nelle casse pubbliche. Dal 1994 ad oggi lo Stato ha erogato 730 milioni di euro. A fronte di questo massiccio impiego di risorse l’incasso delle produzioni italiane all’estero oscilla tra lo 0,3 e l’1% del totale mentre in patria il consumo è sceso sotto la media europea.
Le commissioni che decidono sulla distribuzione dei fondi concedono denaro in maniera del tutto disinvolta spesso erogando finanziamenti milionari a film che, quando riescono ad arrivare nelle sale, non vanno al di là di un incasso di poche migliaia di euro.
Nonostante tutto ciò registi e produttori si lamentano della mancanza di fondi e a queste lamentele il potere politico risponde con proposte di legge tese ad introdurre aggravi fiscali per i soggetti che trasmettono film, emittenti televisive innanzitutto. Questo raggiungerebbe uno scopo paradossale, lo Stato finanzierebbe film che nessuno vede nelle sale e che nessuna emittente sarebbe interessato a comprare. In molti Paesi europei il tax shelter, un sistema che al contrario prevede defiscalizzazioni e incentivi al reinvestimento degli utili, ha rilanciato il mercato cinematografico senza l’introduzione di misure vessatorie tese a finanzialre nient’altro che lo spreco.
Ma il foraggiamento pubblico al cinema non finisce qui. Dino Risi dice che in Italia ci sono più rassegne che film e non ha tutti i torti, se ne contano più di 250 tra feste e festival del cinema che lo Stato finanzia per 2 milioni di euro ai quali vanno aggiunti i fondi stanziati dalle regioni e dagli altri enti locali.
La Festa del cinema di Roma di quest’anno è costata 15 milioni di euro tra sovvenzioni pubbliche e private. Una mole incredibile di denaro e di potere tutta rivolta a veicolare consenso in cui il cinema è solo una comparsa se si considera che le premiere presentate quest’anno non erano tali perché erano le stesse del Festival di Toronto. Inoltre i film premiati alla Festa del 2006 non hanno avuto grande fortuna soprattutto se confrontati con i risultati conseguiti dai film premiati a Venezia.
Che si tratti di finanziamenti all’industria della cinematografia o alle rassegne, il cinema diventa un grande strumento di propaganda e non importa se vengono buttati milioni che potrebbero essere usati per cose ben più serie, l’importante è vendere sogni e ricavarne voti.
Italia.it: quanto costa un fallimento
Italia.it è il portale nazionale del turismo nato per promuovere sul web il patrimonio culturale, ambientale, agroalimentare ed enogastronomico del nostro Paese. Quanti soldi ci siano voluti per realizzarlo è in realtà un mistero, sono comunque tanti…tantissimi, soprattutto se si considera che stiamo parlando di un sito internet. Le fonti più attendibili (Il Sole 24 ore) dicono che a fronte di uno stanziamento di complessivi 58 milioni di euro ne sarebbero stati finora effettivamente investiti 35,9: 21 milioni per i contenuti regionali, 4 per quelli nazionali, 7,8 per la piattaforma tecnologica, la parte restante per la chiusura del “cantiere” e la promozione. Il solo logo (la scritta “Italia” in cima al sito) è costata 100 mila euro.
Con questo fiume di denaro impiegato uno si aspetta che Italia.it sia il sito migliore e il più visitato dell’universo. Purtroppo non è così. Anzi. Dopo un inizio tormentato (una gestazione lunghissima, due presentazioni ufficiali e persino una commissione d’indagine del ministro Nicolais) Italia.it è stato stroncato dalla rete. Tralasciando che l’era dei portali si è conclusa alla fine degli anni ’90, italia.it si riduce ad essere un insieme di semplici informazioni, reperibili attraverso i motori di ricerca, per di più molto spesso infarcite di autentici strafalcioni. Non è finita, dal punto di vista tecnico ci sono una serie di problemi soprattutto riguardanti la compatibilità e l’accessibilità ai soggetti disabili. Alexa.com considera il portale del turismo italiano un sito dal traffico scarsissimo.
Dicevo che l’ammontare esatto del denaro speso per Italia.it rimane un mistero perché il governo si è rifiutato di fornire la documentazione relativa all’intero progetto a seguito della richiesta avanzata da Scandaloitaliano (sito che conduce un costante e minuzioso monitoraggio su tutte le tare di Italia.it) e sottoscritta da 1500 persone, che si sono fatte interpreti della montante indignazione nei confronti dell’intera vicenda.
E’ notizia degli ultimi giorni la dichiarazione del ministro Rutelli durante un incontro del Comitato nazionale per il turismo: "Facciano qualcosa, altrimenti è meglio lasciar perdere". Il portale più costoso ed inefficiente del mondo sembra così avviato malinconicamente alla chiusura definitiva tanto più che la sua piattaforma tecnologica appare ormai superata e le regioni non la considerano più all’altezza della propaganda del turismo locale.
La storia di Italia.it è l’ulteriore prova (si veda il caso del ddl Levi) della profonda ignoranza con la quale la politica si rapporta alla rete e alle sue esigenze. Ma questo è il meno peggio, il mastodontico spreco di denaro pubblico è una vergogna e si commenta da solo come da sola si commenta la volontà da parte del governo di insabbiare il caso negando l’accesso alla documentazione che spiega come si sia potuto spendere tanto per un sito internet.
Paolo Valdemarin, fondatore della società di sviluppo web, Evectors, uno che si intende di cose della rete, in una intervista a la stampa.it dichiara che avrebbe speso un quinto della cifra impiegata dal governo per creare uno strumento wiki, aperto alla collaborazione dei singoli, collegato a Wikipedia, nella quale sarebbero confluite tutte le informazioni circa le principali attrazioni culturali italiane. Insomma uno strumento moderno, funzionale, utile e soprattutto immensamente meno costoso.
SprecheRAI
La scorsa settimana Il Giornale ha pubblicato un’inchiesta di Fabrizio De Feo su RaiUtile, Rainews24 e Rai International. Le sorprese non sono mancate. RaiUtile, il canale di servizio in onda sul satellite, sul digitale terrestre e sul web ha registrato a settembre un ascolto medio giornaliero di 737 unità per uno share dello 0,00% a fronte di un costo di 4 milioni di euro ed un organico di 40 persone, De Feo ricorda inoltre che RaiUtile rappresenta un esperimento per la trasmissione sul digitale terrestre per finanziare il quale è stato disposto uno specifico aumento del canone...
Le cose vanno peggio se si prende in considerazione Rainews24 la rete all news della Rai nata nel 1999. Se qui gli ascolti medi giornalieri raggiungono le 3 mila unità per uno share dello 0,03%, il costo dell’intera baracca è di 35 milioni di euro con un organico di più di 100 giornalisti. SkyTg24 raggiunge un numero di contatti quotidiani dieci volte superiore.
Mentre i fondi per Rainews24, nonostante i risultati tutt’altro che lusinghieri, restano intatti, il nuovo piano industriale prevede una sottrazione di risorse per Rainet, la società che si occupa dei siti web del gruppo. Rainet a fronte di una attribuzione di 6 milioni di euro ha fatto registrare un record di oltre 84 milioni di pagine viste a settembre e 4,6 milioni di utenti registrati. Un potenziale inestimabile, soprattutto in previsione del potenziamento dell’area news sul web, di cui l’azienda sembra non accorgersi.
L’ultimo atto dell’inchiesta de Il Giornale si è occupato di Rai International definita da De Feo una rete di soli capi dato che su 63 giornalisti che vi lavorano, 22 hanno la nomina di caposervizio con il dispendio, in termini di emolumenti, che questo comprensibilmente comporta e nonostante la riduzione del bilancio passato da 38 a 27 milioni di euro. Ma questo è solo l’esempio più eclatante degli sprechi che Rai International (e ahimè in generale la Rai) promuove nella sua quotidiana gestione.
2 commenti:
Grazie per le informazioni.
Affinchè uno spreco abbia pieno compimento occorrono parecchi anni. Dai tuoi esempi, in media una decina. Le porcherie si fanno in due (senza doppi sensi).Da un lato c'è la politica dall'altra c'è lo Stato apparato, intendendo per quest'ultimo il complesso di uffici e relativi funzionari che, vita natural durante, occupano le posizioni "meramente esecutive" dell'apparato stesso. La politica dispone gli indirizzi e le funzioni dello Stato eseguono.
Poniamo che un giorno un progetto politico efficace ed efficiente fosse finalmente realtà.
Chi cavolo eseguirà lo stesso: un esecutore composta per la maggior parte da incompetenti, raccomandati, fannulloni. VIA TUTTI!Azzeriamo le cariche e facciamo gestire i concorsi agli Svedesi.
Ho sbagliato mestiere, non dovevo fare l'ingegnere ma l'informatico. Qualche pollo come Rutelli l'avrei trovato anche io.
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