mercoledì 17 ottobre 2007

Fuori tempo massimo

Negli ultimi giorni la parola d’ordine della sinistra italiana è diventata “dialogo”. Veltroni auspica il dialogo, Bertinotti è fiducioso sul dialogo, Franceschini si dice stupito se Berlusconi rifiuta il dialogo.
Prima di considerare nel merito le tematiche su cui si chiede la collaborazione dell’opposizione sarà divertente vedere come la sinistra ha favorito il clima di dialogo in questo anno e mezzo di governo. Le elezioni del 2006 si concludono con un sostanziale pareggio per le due coalizioni. Berlusconi offre ai vincitori un governo di larghe intese, la proposta viene rifiutata. Così, forte dei suoi 24.000 voti in più alla Camera, il centro-sinistra inizia il suo assalto alla diligenza ignorando completamente dell’altra metà del Paese. Prende per sé le Presidenze di Camera e Senato e quella della Repubblica. Arrivato al governo, in un turbinio di spacchettamenti, poltrone e strapuntini, nomina 102 tra ministri, viceministri e sottosegretari per l’esecutivo più numeroso della storia repubblicana. Da qui la strada è tutta in discesa e nella migliore tradizione dello spoil system la maggioranza di centro-sinistra ha preso per sé, la Direzione generale della RAI, benché ne detenesse già la Presidenza, ha nominato il presidente della Patrimonio dello Stato Spa, il presidente di Alitalia, il presidente dell’Anas, l’amministratore delegato delle Ferrovie, il presidente di Federservizi, il presidente di Sviluppo Italia, il presidente e l’amministratore delegato di Cinecittà Holding, raffica di nomine anche per Istituto Luce, Filmitalia, Cassa depositi e prestiti, Enav, Parchi nazionali, Autorità portuali, Finmeccanica senza contare la rimozione del Comandante della Guardia di finanza Speciale e ancora la nomina di Fabiano Fabiani nel cda RAI. Una presa militare del potere premessa ideale per chiedere all’opposizione di discutere su legge elettorale e riforme alla Costituzione.
Il dibattito sulle regole è in realtà un alibi per la maggioranza di centro-sinistra che vi si aggrappa per scongiurare il rischio elezioni anticipate nel caso della molto più che probabile caduta di Prodi.
Lo sport nazionale dell’impallinamento della legge elettorale vigente, praticato da ultimo anche dal Presidente di Confindustria Montezemolo, ha poco senso. Questa legge, sicuramente non perfetta, ha dato prova di garantire il bipolarismo e di consentire una maggioranza sufficientemente ampia alla Camera nonostante i pochi voti di scarto. Sarebbe successo così anche al Senato se il premio di maggioranza non fosse stato attribuito a livello regionale, bensì a livello nazionale come la stesura originaria, poi modificata a seguito del rinvio alle Camere della legge da parte del Presidente della Repubblica, prevedeva. Restando ferma la prevalenza del diritto dei cittadini di tornare immediatamente a votare in caso di caduta del governo, considerando che in mesi di dibattito in materia l’unica novità significativa è rappresentata dal referendum, la cosa più sensata da fare sarebbe una modifica minima dell’attuale legge che riporti il premio di maggioranza al Senato da regionale a nazionale, che rimpicciolisca i collegi, che riduca concomitantemente la lunghezza delle liste dei candidati per creare un rapporto più stretto tra i gli eletti e il proprio territorio, così come previsto dalla proposta avanzata dai Senatori di Forza Italia.
Sul versante delle modifiche alla Costituzione il centro-sinistra, dopo aver ferocemente avversato e poi affossato la riforma varata dalla CdL, oggi ne presenta una apparentemente simile ma di fatto fortemente depotenziata. Il pacchetto di riforme, che è stato licenziato dalla I commissione di Montecitorio e si appresta ad essere discusso in Aula, prevede la fine del bicameralismo perfetto e la riduzione del numero dei parlamentari, esattamente come la riforma bocciata dal referendum, ma stralcia un intervento sul Titolo V e fa molto poco sul piano del rafforzamento dell’esecutivo e del premier in particolare, la revisione interviene quindi solo su singoli aspetti perdendo un suo equilibrio interno.
La correzione del Titolo V è fondamentale non solo perché la riforma varata dallo stesso centro-sinistra nel 2001 ha prodotto un numero massiccio di conflitti di competenza tra Stato e Regioni di fronte alla Corte costituzionale, ma anche perché senza la revisione del federalismo non si può mettere mano al potenziamento del ruolo del Presidente del Consiglio. Infatti nel pacchetto uscito dalla commissione Affari costituzionali della Camera, tale potenziamento verte su due punti: la possibilità del Capo del Governo di proporre al Presidente della Repubblica la revoca di un ministro, e la “corsia preferenziale” per la discussione in aula dei disegni di legge dell’esecutivo. Decisamente troppo poco.
Le obiezioni alla richiesta di dialogo non sono quindi solo metodologiche o relative al contesto che si è venuto a creare ma anche riguardanti i contenuti. Tanto più che questa richiesta di dialogo è interesatta e giunta fuori tempo massimo. Veltroni ha detto all’indomani della sua elezione a segretario del PD che basterebbero otto mesi per sbloccare il Paese, probabilmente ne basterebbero molti meno se si andasse a votare subito dopo la caduta di Prodi e si evitasse di cercare appigli malfermi.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi rendo conto sempre più che se la politica non la vivi direttamente non sei più nè di sinistra nè di destra, nè pro governo nè pro opposizione.Premetto che ero un attivista di Forza Italia. Sono stato anche "onorato" di coordinare un gruppo di giovani tra i più fiorenti ed attivi della regione, almeno negli anni 2001-2004. Leggo l'entusiasmo che traspare tra le righe del post quando si auspicano nuove elezioni. Ma alla fine cambierà qualcosa per me, povero ergo (che schifezza di nome), se non riattiverò il mio entusiasmo per la politica? Sai cosa mi dicevano? Tuuuuu sei troppo onesto!Ed avevano ragione.Il fatto è che i disonesti hanno il terrore degli onesti.Staremo a vedere alle prossime elezioni.(tanto vanno lì lì per scadere i 3 anni per la maturazione delle pensioncine dei parlamentari).saluti

Anonimo ha detto...

La legge Levi-Prodi prevede che chiunque abbia un blog o un sito debba registrarlo al ROC, un registro dell’Autorità delle Comunicazioni, produrre dei certificati, pagare un bollo, anche se fa informazione senza fini di lucro.
I blog nascono ogni secondo, chiunque può aprirne uno senza problemi e scrivere i suoi pensieri, pubblicare foto e video.
L’iter proposto da Levi limita, di fatto, l’accesso alla Rete.
Quale ragazzo si sottoporrebbe a questo iter per creare un blog?
La legge Levi-Prodi obbliga chiunque abbia un sito o un blog a dotarsi di una società editrice e ad avere un giornalista iscritto all’albo come direttore responsabile.
Il 99% chiuderebbe.
Il fortunato 1% della Rete rimasto in vita, per la legge Levi-Prodi, risponderebbe in caso di reato di omesso controllo su contenuti diffamatori ai sensi degli articoli 57 e 57 bis del codice penale. In pratica galera quasi sicura.
Il disegno di legge Levi-Prodi deve essere approvato dal Parlamento. Levi interrogato su che fine farà il blog di Beppe Grillo risponde da perfetto paraculo prodiano: “Non spetta al governo stabilirlo. Sarà l’Autorità per le Comunicazioni a indicare, con un suo regolamento, quali soggetti e quali imprese siano tenute alla registrazione. E il regolamento arriverà solo dopo che la legge sarà discussa e approvata dalle Camere”.
Prodi e Levi si riparano dietro a Parlamento e Autorità per le Comunicazioni, ma sono loro, e i ministri presenti al Consiglio dei ministri, i responsabili.
Se passa la legge sarà la fine della Rete in Italia.
VOGLIONO CASTRARE LA LIBERTà VIA WEB.. e la chiamano democrazia?

FONTE BLOG BEPPE GRILLO 19 OTT 2007

Anonimo ha detto...

spero che sia una cacchiata!oh pardon, scusate, non volevo...perdono, noooooooooooo