La storia di Eluana Englaro è nota ai più. Eluana aveva 20 anni quando il 18 gennaio 1992 fu coinvolta in un incidente stradale, da allora è in uno stato di coma irreversibile. Giuseppe Englaro da circa 12 anni ha scelto di condurre una battaglia per ottenere che sua figlia possa cessare di vivere nel pieno della legalità ed essere liberata dal suo stato vegetativo permanente.
Ora la Corte di Cassazione ha disposto che si tenga un nuovo processo teso a verificare che nel caso Englaro ricorrano due condizioni:
1) che la condizione di stato vegetativo del paziente sia apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità, secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e delle capacitá di percezione;
2) che sia univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, dalla sua personalità e dai convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti e le decisioni, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento.
Verificate queste due condizioni il giudice può, su istanza del tutore, autorizzare l’interruzione del trattamento sanitario che consiste nella somministrazione di farmaci ma anche nell’alimentazione e idratazione artificiale.
La precisa indicazione della Corte di ricostruire la volontà del paziente rappresenta un’implicita apertura verso il testamento biologico.
Il testamento biologico è una direttiva anticipata, non redatta alla presenza di un notaio, ma che abbia sottoscrizione e data certe, con la quale il paziente esonera il personale sanitario da qualsiasi tipo di responsabilità, compresa quella di natura penale, per l’interruzione di ogni trattamento praticato senza alcuna ragionevole possibilità di un vitale recupero organico-funzionale (accanimento terapeutico).
Tale definizione si legge nel parere redatto dal Senatore Casson e approvato dalla commissione Giustizia, che assieme ad altre numerose proposte di legge in materia langue in Parlamento. Il nostro Ordinamento prevede all’articolo 32 della Costituzione che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, inoltre l’Italia ha ratificato in sede europea la Convenzione di Oviedo per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti delle applicazioni della biologia e della medicina che all’articolo 9 prevede che i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione. Vi è quindi al suo interno la possibilità di incardinare la regolamentazione del testamento biologico, ma se è vero che non può essere la giurisprudenza a dipanare la questione, è vero anche che l’intervento del legislatore deve avere dei precisi limiti dettati dal parere della medicina.
La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, dei Chirurghi e degli Odontoiatri, intervenuta più volte nel dibattito, ha puntualizzato che la eventuale legislazione in materia di dichiarazione di volontà anticipate sul trattamento sanitario deve tutelare i soggetti più deboli, cioè i pazienti e evitare l’esasperazione del principio di autodeterminazione del malato che conduce ad una contrattualizzazione della medicina e del rapporto medico-paziente.
Inoltre se, in sede di dibattito parlamentare, si è trovato l’accordo sulla figura del fiduciario che interpreta le volontà del paziente e ne esegue le direttive e sulla possibilità di modificare le dichiarazioni, motivi di contrasto rimangono sull’istituzione di un registro nazionale dei testamenti biologici, sull’obiezione di coscienza del medico, su chi ha potere decisionale nel caso di conflitto tra il parere del medico e quello del fiduciario, sul concetto stesso di accanimento terapeutico.
Il Parlamento è chiamato a colmare un vuoto legislativo perché resta in ogni caso inaccettabile che una materia così complessa e delicata sia demandata alla discrezionalità di un giudice, ma occorre che l’intervento del legislatore si limiti a tracciare le coordinate entro le quali la volontà del paziente e la deontologia e la professionalità del medico debbano incontrarsi. Il rischio, in altri casi già verificatosi, è quello di una dannosa quanto indebita ingerenza.
Ora la Corte di Cassazione ha disposto che si tenga un nuovo processo teso a verificare che nel caso Englaro ricorrano due condizioni:
1) che la condizione di stato vegetativo del paziente sia apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità, secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e delle capacitá di percezione;
2) che sia univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, dalla sua personalità e dai convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti e le decisioni, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento.
Verificate queste due condizioni il giudice può, su istanza del tutore, autorizzare l’interruzione del trattamento sanitario che consiste nella somministrazione di farmaci ma anche nell’alimentazione e idratazione artificiale.
La precisa indicazione della Corte di ricostruire la volontà del paziente rappresenta un’implicita apertura verso il testamento biologico.
Il testamento biologico è una direttiva anticipata, non redatta alla presenza di un notaio, ma che abbia sottoscrizione e data certe, con la quale il paziente esonera il personale sanitario da qualsiasi tipo di responsabilità, compresa quella di natura penale, per l’interruzione di ogni trattamento praticato senza alcuna ragionevole possibilità di un vitale recupero organico-funzionale (accanimento terapeutico).
Tale definizione si legge nel parere redatto dal Senatore Casson e approvato dalla commissione Giustizia, che assieme ad altre numerose proposte di legge in materia langue in Parlamento. Il nostro Ordinamento prevede all’articolo 32 della Costituzione che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, inoltre l’Italia ha ratificato in sede europea la Convenzione di Oviedo per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti delle applicazioni della biologia e della medicina che all’articolo 9 prevede che i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione. Vi è quindi al suo interno la possibilità di incardinare la regolamentazione del testamento biologico, ma se è vero che non può essere la giurisprudenza a dipanare la questione, è vero anche che l’intervento del legislatore deve avere dei precisi limiti dettati dal parere della medicina.
La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, dei Chirurghi e degli Odontoiatri, intervenuta più volte nel dibattito, ha puntualizzato che la eventuale legislazione in materia di dichiarazione di volontà anticipate sul trattamento sanitario deve tutelare i soggetti più deboli, cioè i pazienti e evitare l’esasperazione del principio di autodeterminazione del malato che conduce ad una contrattualizzazione della medicina e del rapporto medico-paziente.
Inoltre se, in sede di dibattito parlamentare, si è trovato l’accordo sulla figura del fiduciario che interpreta le volontà del paziente e ne esegue le direttive e sulla possibilità di modificare le dichiarazioni, motivi di contrasto rimangono sull’istituzione di un registro nazionale dei testamenti biologici, sull’obiezione di coscienza del medico, su chi ha potere decisionale nel caso di conflitto tra il parere del medico e quello del fiduciario, sul concetto stesso di accanimento terapeutico.
Il Parlamento è chiamato a colmare un vuoto legislativo perché resta in ogni caso inaccettabile che una materia così complessa e delicata sia demandata alla discrezionalità di un giudice, ma occorre che l’intervento del legislatore si limiti a tracciare le coordinate entro le quali la volontà del paziente e la deontologia e la professionalità del medico debbano incontrarsi. Il rischio, in altri casi già verificatosi, è quello di una dannosa quanto indebita ingerenza.
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