mercoledì 3 settembre 2008

L'eredità dei Giochi olimpici di Pechino

La promessa fatta dalla Cina di approfittare delle Olimpiadi per migliorare la situazione del rispetto dei diritti umani nel Paese è ampiamente mancata. I Giochi non hanno fatto che far crescere violenza e repressione nella sostanziale indifferenza del Comitato olimpico internazionale.

Chiudendo la XXIX edizione dei Giochi olimpici, Jacques Rogge, presidente del Cio, ha affermato “la Cina ha imparato qualcosa del mondo e il mondo ha imparato qualcosa della Cina. Questa edizione dei Giochi è stata un successo eccezionale.” Come dargli torto, dal suo punto di vista le Olimpiadi di Pechino non possono essere definite altrimenti che un successo eccezionale: fra sponsor e diritti televisivi, gli introiti sono stati di 5 miliardi di dollari e nei prossimi quattro anni potrebbero arrivare fino a 7, quasi il doppio di quelli di Atene 2004.
Il copione suggerito dal tema dei giochi, One world, one dream – Un solo mondo, un solo sogno, è stato pienamente rispettato. Le cerimonie di inizio e di chiusura dei giochi sono state un ineffabile inno a quella società armoniosa che una Cina, moderna e aperta, è decisa a promuovere. Tutto doveva essere perfetto. Dalla bambina che cantava la canzone con la voce di un'altra, ai fuochi d'artificio realizzati al computer, dagli omessi riferimenti al Partito comunista al potere, alla totale esclusione della gente comune da tutte le cerimonie olimpiche. Tutto doveva essere funzionale a mostrare al mondo esclusivamente la potenza politica, economica e sportiva della Cina. A qualunque prezzo.
Se Yang Chunlin, attivista per i diritti umani, sostiene l'azione legale di 40 mila contadini i cui terreni erano stati confiscati senza indennizzo per costruirci impianti sportivi, la Cina gli dà una bella lezione di armonia mediante la detenzione senza processo e la tortura.
Se Wu Dianyuan e Wang Xiuying, rispettivamente 79 e 77 anni, chiedono di protestare perchè la loro casa è stata rasa al suolo, le si condanna bonariamente ad un anno di lavori forzati.
Se Liu Jie si ribella all'evizione abusiva della piccola industria casearia familiare, gli si fa comprendere che la Cina è per la fratellanza tra i popoli, facendola lavorare per 14 ore al giorno nonostante sia gravemente malata.
Già, il prezzo da pagare perché l'immagine della Cina, così come disegnata dal governo comunista, rifulgesse nel mondo è il mancato mantenimento di quella promessa secondo cui, a fronte dell'assegnazione dei Giochi olimpici, la Cina si impegnava a migliorare la situazione del rispetto dei diritti umani. Una promessa così palesemente disattesa quanto totalmente dimenticata. Dimenticata dal Comitato olimpico internazionale, dimenticata dai molti giornalisti occidentali che sono sembrati non accorgersi delle molteplici violazioni che avvenivano a Pechino anche durante i giorni delle Olimpiadi.
La denunce di Amnesty international e Human Rights Watch hanno documentato che nel corso dei Giochi, pacifici attivisti, religiosi e giornalisti hanno subito arresti e condanne anche alla rieducazione attraverso il lavoro, otto militanti americani pro-Tibet sono stati espulsi dopo l'arresto nella notte tra il 20 e il 21 agosto. I tre parchi di Pechino che, secondo quanto previsto dalle forze di polizia e disposto dal Cio, erano destinati alle proteste legali, sono rimasti vuoti, delle 77 richieste giunte, 74 sono state “ritirate”, 2 “sospese” e una sola ufficialmente vietata. Il metodo delle autorizzazioni è diventato così un espediente infallibile per imbavagliare e punire preventivamente i manifestanti. Le misure di sicurezza sono state ingigantite al fine di evitare qualsiasi forma di protesta, la censura dei mezzi di informazione è stata massiccia e capillare.
L'impressione che si ha, è che, paradossalmente, l'evento che doveva migliorare la performance del rispetto dei diritti umani in Cina abbia finito per peggiorarla. Per realizzare gli impianti sportivi si è proceduto ad espropri senza adeguati indennizzi, trasferimenti forzati, chiusura di scuole e fabbriche. Gli operai dei cantieri olimpici, spesso migranti, hanno lavorato anche di notte per paghe minime senza possibilità di organizzarsi in sindacato e in condizioni di sicurezza più che precaria.
In realtà le Olimpiadi, a conti fatti, sono giunte solo ad aggravare una situazione caratterizzata dalla repressione e da un sistema giudiziario senza garanzie, nel quale la pena di morte è applicata estensivamente. Secondo il “Rapporto 2008” di Amnesty la Cina commina il 63% delle esecuzioni capitali a livello mondiale, ufficialmente sarebbero 470 le persone giustiziate nel corso di quest'anno e 1.860 le sentenze emesse ma non ancora eseguite. I dati reali parlano invece di un numero di uccisioni tra 7.500 e 8.000 ogni anno. I reati per cui è prevista la pena di morte sono 68, anche di natura non violenta, molti dei quali ideologici. Il controllo esercitato dalla Corte suprema del popolo, la disposizione di celebrare i processi per reati per cui è prevista la pena capitale a porte aperte, non hanno sortito gli esiti sperati. I casi continuano ad essere dibattuti a porte chiuse, la polizia ricorre spesso alla tortura per estorcere le confessioni, il diritto degli imputati alla difesa è fortemente limitato.
La detenzione senza processo è una prassi consolidata che colpisce soprattutto attivisti per i diritti umani e giornalisti dissidenti. Sono all'incirca 500 mila le persone che, senza la formalizzazione di nessuna accusa, sono sottoposte alla rieducazione attraverso il lavoro e vedono i propri familiari oggetto di vessazioni e di stringente sorveglianza.
Durante il mese olimpico la morsa della censura si è stretta ancora di più sia sulla stampa cinese sia su quella straniera nonostante i proclami della vigilia. I giornalisti locali ammessi a coprire l'evento iridato hanno dovuto seguire scrupolosamente i “Principi sulle notizie durante le Olimpiadi”, una sorta di vademecum che sintetizzava la linea ufficiale del partito sulle modalità con cui dare le notizie, i temi da enfatizzare e quelli da evitare. Per quanto riguarda la stampa internazionale, la possibilità riconosciuta ai giornalisti di muoversi per il Paese (Tibet e Xinjiang esclusi, s'intende) senza più bisogno del permesso delle autorità, è stata neutralizzata da un sistema di schedature, autorizzazioni speciali, esclusioni preventive e vere e proprie intimidazioni. In un rapporto di Human Rights Watch dal titolo “Le zone proibite della Cina: come tenere la stampa lontana dal Tibet e altre storie”, l'organizzazione per i diritti spiega come il lavoro della stampa internazionale sia stato sabotato e come il Ministero degli esteri cinese si sia rifiutato di indagare sulle minacce di morte subite da dieci giornalisti stranieri che si erano occupati del Tibet. Tre giornalisti dell'Associated Press sono stati fermati dalla polizia per impedire che i genitori di alcuni bambini morti nel crollo di una scuola a seguito del terremoto del Sichuan, denunciassero il mancato rispetto delle norme di sicurezza nella costruzione di quella scuola.
I Chinese Human Rights Defenders hanno pubblicato una “Guida alternativa ai Giochi Olimpici” nella quale si fa riferimento al controllo delle autorità cinesi sulle telecomunicazioni e su internet in particolare. Il documento riferisce di decine di cyberpoliziotti impegnati a controllare siti, blog, e-mail e persino sms e sistemi di messaggeria istantanea come Msn o Skype. Sono almeno 50 le persone punite, anche con la detenzione, per aver postato le proprie opinioni in rete o per aver semplicemente visitato siti proibiti.
La censura telematica si è abbattuta anche sui siti religiosi, soprattutto su quelli cattolici e della Falung Gong che sono stati oscurati, ma la repressione nei confronti dei gruppi religiosi non si ferma solo a questo. A milioni di persone viene impedito di praticare la propria religione al di fuori dei canali approvati dallo Stato, per chi non rispetta questi limiti sono frequenti il carcere e periodi di “rieducazione”.
La repressione religiosa si salda a quella etnica nel Tibet buddista e nello Xinjiang uiguro a maggioranza islamica. Violazioni vengono compiute sistematicamente nei confronti dei richiedenti asilo che continuano ad essere detenuti per molto tempo in attesa dell'esito della loro istanza. L'attenzione delle organizzazioni per i diritti si è inoltre concentrata sugli stretti rapporti di Pechino con le peggiori dittature del mondo tra cui il Sudan del genocidio in Darfur e il Myanmar.
L'elenco delle violazioni compiute dalla Cina potrebbe continuare ma questa è solo un'istantanea approssimativa e incompleta di quale sia il livello del rispetto dei diritti umani nel Paese che ha ospitato le Olimpiadi all'insegna dell'armonia e della fratellanza tra i popoli...
Amnesty International chiede al Cio di imparare la lezione di Pechino, chiede di introdurre una sorta di termometro dei diritti, alcuni indicatori che stabiliscano chiaramente il grado di rispetto dei diritti umani nei Paesi che si candidano ad ospitare le Olimpiadi.
Alla luce di tutto questo rimane una sola desolata domanda da porre ancora una volta. Era proprio necessario affidare l'organizzazione dei Giochi olimpici del 2008 alla Cina?

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