Il tema scelto dal governo cinese per le Olimpiadi di Pechino 2008 è riassunto nello slogan One world, one dream – Un solo mondo, un solo sogno. Uno slogan a cui 37 intellettuali e attivisti cinesi hanno aggiunto un'essenziale postilla: Un solo mondo, un solo sogno e diritti umani universali. Nella lettera aperta indirizzata ai leader cinesi e del mondo e a tutti coloro che hanno a cuore la causa del rispetto dei diritti umani, attivisti democratici, scrittori, giornalisti, rappresentanti del mondo accademico hanno esortato al rispetto dei principi fondamentali dello spirito olimpico, alla promozione di una società pacifica che ha cura della salvaguardia della dignità umana come previsto dal preambolo della Carta Olimpica.
La lettera, diffusa l'8 agosto 2007, ad un anno esatto dall'inizio dei Giochi, è, oltre che un appello, un atto denuncia contro lo stato del rispetto dei diritti umani nella Repubblica Popolare Cinese in vista delle Olimpiadi. Quando nel 2001 Kiu Jingmin, vicepresidente del Comitato promotore di Pechino 2008, avanzò la candidatura del suo Paese ad ospitare i Giochi, disse di fronte al Comitato olimpico internazionale (Cio) che l'assegnazione delle Olimpiadi a Pechino avrebbe aiutato lo sviluppo dei diritti umani. A otto mesi dall'inizio dell'evento molto poco è stato fatto perché quell'impegno venisse rispettato.
Non solo i 37 intellettuali e attivisti cinesi ma anche il Parlamento Europeo e Amnesty International chiedono al Cio di intervenire perché il governo cinese assicuri progressi sulle riforme per i diritti umani. L'impotenza e l'effettivo scarso impegno del Comitato olimpico da un lato, l'ulteriore abbassamento del livello di rispetto dei diritti legato proprio ai lavori per le Olimpiadi a fronte di qualche timida concessione dall'altro, dipingono uno scenario tutt'altro che confortante.
Molti attivisti continuano a subire intimidazioni, sorveglianze invadenti anche nei confronti delle loro famiglie, arresti arbitrari e torture. La polizia ha ampi margini di discrezionalità nelle proprie operazioni, dall'intercettazione e l'arresto di dimostranti che cercano di giungere a Pechino per lamentarsi della cattiva condotta dei rappresentanti dei governi locali, fino all'applicazione di forme di detenzione senza processo e senza garanzie giudiziarie come la rieducazione attraverso il lavoro, la riabilitazione forzata dalla droga e la custodia educativa tutti metodi che, ben lontani dal rispettare gli standard internazionali sui diritti umani, sono volti a ripulire Pechino prima delle Olimpiadi da tossicodipendenti, piccoli criminali e senza tetto.
Un discorso a parte merita la questione della pena di morte. All'indomani dell'approvazione della moratoria da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, è utile ricordare che la Cina applica da sola il 63% delle esecuzioni mondiali per un totale di circa 8000 all'anno. Dall'inizio del 2007 l'approvazione di tutte le condanne a morte è demandata alla Corte suprema del popolo, questo dovrebbe ridurne il numero del 20 – 30% ma, a causa della mancanza di statistiche nazionali ufficiali, potrebbe essere impossibile determinare gli effetti reali di questa decisione.
Attualmente in Cina i crimini punibili con la morte sono 68 e tra essi vi sono anche reati come l'evasione fiscale, la corruzione e il traffico di droga. L'uso della tortura per estorcere le confessioni ha determinato l'uccisione di molti innocenti, emblematico è il caso di Teng Xingshan messo a morte nel 1989 per l'omicidio della moglie ricomparsa poi nel 2005.
Un risvolto inquietante dell'applicazione della pena di morte riguarda il trapianto (e il traffico) di organi. La maggior parte degli organi trapiantati in Cina proviene da condannati alla pena capitale.
Del modello cinese di repressione sul web ho già parlato in passato. La sua efficienza è migliorata ancora nelle settimane precedenti il 17° congresso del Partito comunista cinese tenutosi in ottobre e non allenterà la sua morsa di qui alle Olimpiadi. Sono almeno 30 i giornalisti e 50 i cyberdissidenti attualmente in carcere, il governo ha realizzato colossali investimenti per attuare un controllo capillare dei blog e dei siti internet di informazione. I programmi di una decina di radio internazionali che trasmettevano in cinese, tibetano e in uinghur (una lingua parlata nel nord-ovest del Paese) sono stati recentemente bloccati.
Le nuove regole valide per i giornalisti stranieri dal 1° gennaio di quest'anno fino al 17 ottobre 2008 prevedono che essi possano circolare per il Paese (fatta eccezione per il Tibet e per le zone di confine dello Xinjiang, fortemente militarizzate) senza più bisogno del permesso delle autorità locali. Tuttavia gli ottomila giornalisti accreditati a seguire i Giochi subiranno una sorta di schedatura preventiva. Il governo infatti sta preparando un database consultabile da chiunque entri in contatto con i giornalisti e che verosimilmente conterrà, oltre a dati e notizie professionali, giudizi sul loro operato e sulla loro “pericolosità” redatti dagli uffici centrali di censura.
C'è da considerare inoltre che, se nei confronti della stampa estera si registra almeno un'apparente apertura, gli organi di informazione cinese sono vittime di un ulteriore inasprimento dei controlli: non possono diffondere notizie delle agenzie di stampa straniere e collaborare con giornalisti non cinesi, devono ottenere l'autorizzazione prima di trattare argomenti sensibili come la corruzione giudiziaria, le campagne a favore dei diritti umani o le vicende riguardanti determinati eventi storici.
La costruzione delle strutture e dei siti olimpici ha aperto un nuovo fronte di violazione dei diritti. Crescono infatti le vittime di espropri e trasferimenti forzati a cui non solo non vengono riconosciuti indennizzi equi, ma che rischiano di essere imprigionati per la resistenza a questi atti.
Gli operai dei cantieri olimpici sono costretti a subire ritmi di lavoro massacranti in una situazione di sicurezza precaria e senza che sia riconosciuto loro il diritto di organizzarsi in sindacato. La situazione peggiora anche in termini salariali se la manodopera proviene dalle campagne.
Da più parti è stata richiesta la costituzione di un comitato indipendente che verifichi l'uso del denaro pubblico e persegua sprechi e corruzioni legati ai progetti dei siti olimpici. Per ora a questa richiesta non è giunta nessuna risposta.
L'appuntamento iridato avrebbe potuto rappresentare anche un'occasione di miglioramento della situazione del Tibet occupato dalla Cina dal 1951 e nel quale viene perpetrato, per usare le parole del Dalai Lama, una volta anche guida politica oggi solo spirituale dello Stato, un genocidio culturale.
Vincent Metten, direttore della politica Ue per la campagna internazionale per il Tibet, afferma che i Giochi sono finora stati utilizzati dalla Cina come ulteriore strumento di repressione nella regione, inoltre il Cio ha rifiutato la partecipazione del team Tibet (una squadra di atleti tibetani che voleva partecipare a Pechino 2008 con i colori del proprio paese) alle Olimpiadi evidentemente per non irritare il governo cinese. E di atti compiuti per non irritare la Cina noi in Italia ne sappiamo qualcosa, dato che nessun esponente del nostro governo ha voluto incontrare ufficialmente il Dalai Lama al contrario di quanto accaduto negli USA, in Canada, in Austria e in Germania dove i rispettivi Capi di Stato o di governo hanno incontrato Tenzin Gyatso anche per lanciare un messaggio contro l'atteggiamento della Cina in vista delle Olimpiadi, senza pavidità o subalternità di sorta.
Allo stato il miglioramento della situazione dei diritti umani in Cina non sembra sarà quell'eredità duratura che molti si aspettavano come lascito delle Olimpiadi, questo, unitamente al fatto che il governo cinese in politica estera ha un ruolo non secondario nel genocidio in Darfur e nel sostegno economico della giunta birmana, solo per citare due esempi particolarmente eclatanti delle gravi responsabilità del Paese, fa affiorare un paio di domande. Era proprio necessario affidare l'organizzazione dei Giochi olimpici del 2008 alla Cina? Non si poteva fare come con il Sudafrica dell'apartheid che fu bandito dalle Olimpiadi?
La lettera, diffusa l'8 agosto 2007, ad un anno esatto dall'inizio dei Giochi, è, oltre che un appello, un atto denuncia contro lo stato del rispetto dei diritti umani nella Repubblica Popolare Cinese in vista delle Olimpiadi. Quando nel 2001 Kiu Jingmin, vicepresidente del Comitato promotore di Pechino 2008, avanzò la candidatura del suo Paese ad ospitare i Giochi, disse di fronte al Comitato olimpico internazionale (Cio) che l'assegnazione delle Olimpiadi a Pechino avrebbe aiutato lo sviluppo dei diritti umani. A otto mesi dall'inizio dell'evento molto poco è stato fatto perché quell'impegno venisse rispettato.
Non solo i 37 intellettuali e attivisti cinesi ma anche il Parlamento Europeo e Amnesty International chiedono al Cio di intervenire perché il governo cinese assicuri progressi sulle riforme per i diritti umani. L'impotenza e l'effettivo scarso impegno del Comitato olimpico da un lato, l'ulteriore abbassamento del livello di rispetto dei diritti legato proprio ai lavori per le Olimpiadi a fronte di qualche timida concessione dall'altro, dipingono uno scenario tutt'altro che confortante.
Molti attivisti continuano a subire intimidazioni, sorveglianze invadenti anche nei confronti delle loro famiglie, arresti arbitrari e torture. La polizia ha ampi margini di discrezionalità nelle proprie operazioni, dall'intercettazione e l'arresto di dimostranti che cercano di giungere a Pechino per lamentarsi della cattiva condotta dei rappresentanti dei governi locali, fino all'applicazione di forme di detenzione senza processo e senza garanzie giudiziarie come la rieducazione attraverso il lavoro, la riabilitazione forzata dalla droga e la custodia educativa tutti metodi che, ben lontani dal rispettare gli standard internazionali sui diritti umani, sono volti a ripulire Pechino prima delle Olimpiadi da tossicodipendenti, piccoli criminali e senza tetto.
Un discorso a parte merita la questione della pena di morte. All'indomani dell'approvazione della moratoria da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, è utile ricordare che la Cina applica da sola il 63% delle esecuzioni mondiali per un totale di circa 8000 all'anno. Dall'inizio del 2007 l'approvazione di tutte le condanne a morte è demandata alla Corte suprema del popolo, questo dovrebbe ridurne il numero del 20 – 30% ma, a causa della mancanza di statistiche nazionali ufficiali, potrebbe essere impossibile determinare gli effetti reali di questa decisione.
Attualmente in Cina i crimini punibili con la morte sono 68 e tra essi vi sono anche reati come l'evasione fiscale, la corruzione e il traffico di droga. L'uso della tortura per estorcere le confessioni ha determinato l'uccisione di molti innocenti, emblematico è il caso di Teng Xingshan messo a morte nel 1989 per l'omicidio della moglie ricomparsa poi nel 2005.
Un risvolto inquietante dell'applicazione della pena di morte riguarda il trapianto (e il traffico) di organi. La maggior parte degli organi trapiantati in Cina proviene da condannati alla pena capitale.
Del modello cinese di repressione sul web ho già parlato in passato. La sua efficienza è migliorata ancora nelle settimane precedenti il 17° congresso del Partito comunista cinese tenutosi in ottobre e non allenterà la sua morsa di qui alle Olimpiadi. Sono almeno 30 i giornalisti e 50 i cyberdissidenti attualmente in carcere, il governo ha realizzato colossali investimenti per attuare un controllo capillare dei blog e dei siti internet di informazione. I programmi di una decina di radio internazionali che trasmettevano in cinese, tibetano e in uinghur (una lingua parlata nel nord-ovest del Paese) sono stati recentemente bloccati.
Le nuove regole valide per i giornalisti stranieri dal 1° gennaio di quest'anno fino al 17 ottobre 2008 prevedono che essi possano circolare per il Paese (fatta eccezione per il Tibet e per le zone di confine dello Xinjiang, fortemente militarizzate) senza più bisogno del permesso delle autorità locali. Tuttavia gli ottomila giornalisti accreditati a seguire i Giochi subiranno una sorta di schedatura preventiva. Il governo infatti sta preparando un database consultabile da chiunque entri in contatto con i giornalisti e che verosimilmente conterrà, oltre a dati e notizie professionali, giudizi sul loro operato e sulla loro “pericolosità” redatti dagli uffici centrali di censura.
C'è da considerare inoltre che, se nei confronti della stampa estera si registra almeno un'apparente apertura, gli organi di informazione cinese sono vittime di un ulteriore inasprimento dei controlli: non possono diffondere notizie delle agenzie di stampa straniere e collaborare con giornalisti non cinesi, devono ottenere l'autorizzazione prima di trattare argomenti sensibili come la corruzione giudiziaria, le campagne a favore dei diritti umani o le vicende riguardanti determinati eventi storici.
La costruzione delle strutture e dei siti olimpici ha aperto un nuovo fronte di violazione dei diritti. Crescono infatti le vittime di espropri e trasferimenti forzati a cui non solo non vengono riconosciuti indennizzi equi, ma che rischiano di essere imprigionati per la resistenza a questi atti.
Gli operai dei cantieri olimpici sono costretti a subire ritmi di lavoro massacranti in una situazione di sicurezza precaria e senza che sia riconosciuto loro il diritto di organizzarsi in sindacato. La situazione peggiora anche in termini salariali se la manodopera proviene dalle campagne.
Da più parti è stata richiesta la costituzione di un comitato indipendente che verifichi l'uso del denaro pubblico e persegua sprechi e corruzioni legati ai progetti dei siti olimpici. Per ora a questa richiesta non è giunta nessuna risposta.
L'appuntamento iridato avrebbe potuto rappresentare anche un'occasione di miglioramento della situazione del Tibet occupato dalla Cina dal 1951 e nel quale viene perpetrato, per usare le parole del Dalai Lama, una volta anche guida politica oggi solo spirituale dello Stato, un genocidio culturale.
Vincent Metten, direttore della politica Ue per la campagna internazionale per il Tibet, afferma che i Giochi sono finora stati utilizzati dalla Cina come ulteriore strumento di repressione nella regione, inoltre il Cio ha rifiutato la partecipazione del team Tibet (una squadra di atleti tibetani che voleva partecipare a Pechino 2008 con i colori del proprio paese) alle Olimpiadi evidentemente per non irritare il governo cinese. E di atti compiuti per non irritare la Cina noi in Italia ne sappiamo qualcosa, dato che nessun esponente del nostro governo ha voluto incontrare ufficialmente il Dalai Lama al contrario di quanto accaduto negli USA, in Canada, in Austria e in Germania dove i rispettivi Capi di Stato o di governo hanno incontrato Tenzin Gyatso anche per lanciare un messaggio contro l'atteggiamento della Cina in vista delle Olimpiadi, senza pavidità o subalternità di sorta.
Allo stato il miglioramento della situazione dei diritti umani in Cina non sembra sarà quell'eredità duratura che molti si aspettavano come lascito delle Olimpiadi, questo, unitamente al fatto che il governo cinese in politica estera ha un ruolo non secondario nel genocidio in Darfur e nel sostegno economico della giunta birmana, solo per citare due esempi particolarmente eclatanti delle gravi responsabilità del Paese, fa affiorare un paio di domande. Era proprio necessario affidare l'organizzazione dei Giochi olimpici del 2008 alla Cina? Non si poteva fare come con il Sudafrica dell'apartheid che fu bandito dalle Olimpiadi?
Vi segnalo alcuni siti sull'argomento:
1 commento:
Senza dubbio è stato un azardo...
P.S.: quando hai tempo, per favore, puoi inserire il banner (con un link) all'aggregatore per il Partito della Libertà?
Ti ringrazio ;)
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