L'avventura di Prodi al governo è finita in una fredda sera di gennaio. Sullo sfondo il fetore dei cumuli di rifiuti in Campania, Mastella che recita Neruda, gli sputi di Barbato contro il suo collega di partito Cusumano e l'onore delle armi ad un Presidente del Consiglio che, presentatosi in Parlamento con il solo obiettivo di guardare in faccia i propri traditori, avvelena i pozzi e medita vendette.
E' finita ma viene da chiedersi se quell'avventura non sarebbe dovuta concludersi molto prima o se addirittura sarebbe mai dovuta iniziare. Quello schieramento che metteva insieme Luxuria e la Binetti, Caruso e Dini, Di Pietro e Craxi con l'improbabile collante delle inutilizzate 281 pagine di programma e quello molto più reale e credibile del solito odio per Berlusconi. Quella vittoria incompleta, torbida, mutilata. Uno 0,06% in più alla Camera, e il sostegno malfermo dei senatori a vita o di quelli eletti all'estero a tamponare una sostanziale sconfitta in Senato, dovuta alla mancanza di voti più che alla vituperata legge elettorale. Lo sdegnoso rifiuto di un governo di larghe intese e l'occupazione dilagante, bulimica di qualunque posto di potere. Un esecutivo di 102 posti. Un record. A ciascuno la sua poltrona e state buoni se potete. Ma loro non possono, iniziano da subito i distinguo, i veti, le parole in libertà. Dalle liberalizzazioni, al rifinanziamento delle missioni militari all'estero, dalla finanziaria da 33,4 miliardi, alla sinistra di lotta e di governo il terreno si fa sempre più impervio e scivoloso. Neanche il tempo di fare il tagliando a Caserta che è subito crisi sfiorata sulla politica estera. Poi arriva la deflagrazione provocata dalla nascita del PD, il caso Speciale, la finanziaria semielettorale e il protocollo sul welfare, l'emergenza immondizia in Campania. Gli scricchiolii si sentono distintamente, e vengono dal centro come da sinistra. Il Prodi funambolo cerca di andare avanti tenace e volitivo, rivendica i suoi risultati, ma assomiglia sempre più a quel ministro di Saddam Hussein che con le truppe americane a Bagdad diceva che tutto andava bene e che il regime avrebbe retto. Mastella vittima di quella giustizia ad orologeria che fa tanto male quando colpisce sé e i propri cari, passa in 24 ore dal governo all'appoggio esterno, dall'appoggio esterno all'opposizione. E' finita. Il funambolo cade. La sua maggioranza, lo abbandona e non sono in molti ad avere rimpianti.
Ne ha certamente pochi Walter Veltroni che, come era prevedibile sin dall'indomani delle primarie plebiscitarie che lo hanno portato alla guida del PD, non sarebbe rimasto a lungo a farsi logorare abbinando la sua leadership all'operato di un governo moribondo. Sospinto dall'ecumenismo di facciata dei suoi “ma anche”, ha puntato in realtà a smarcarsi dal resto dell'Unione. Le dichiarazioni sulla vocazione maggioritaria, il dialogo in solitaria con Forza Italia sulla legge elettorale, il proclama di Orvieto “Il PD in ogni caso correrà da solo”, hanno portato all'allentamento del vincolo di coalizione e a una sorta di liberi tutti che, se non ha provocato la crisi, gli ha dato senza dubbio una grossa mano. Adesso Veltroni dopo aver subito il processo dei piccoli partiti ieri in Senato, deve affrontare le faide aperte all'interno di quel coacervo di correnti e oligarchie che è il PD. I prodiani mettono sotto accusa la sua strategia e già si vocifera di una possibile lista del premier pronta ad allearsi con quel che resta della maggioranza per dar vita ad una editio minor dell'Unione, i dalemiani come la Finocchiaro mettono apertamente in discussione la sua leadership, senza contare gli altri scontenti, gli ex Ppi e i coraggiosi di Rutelli. Chissà che non tocchi anche al Sindaco di Roma fare un po' il funambolo per evitare di finire prematuramente in naftalina.
La crisi ora è nelle mani del Presidente della Repubblica che di certo non ha un compito facile. Dovrà verificare se l'opzione di un governo a tempo per realizzare la riforma della legge elettorale e quella dei regolamenti parlamentari ha realmente la possibilità di ricevere il sostegno delle Camere. Intanto mentre il referendum di Guzzetta e Segni, appena ammesso dalla Corte costituzionale, incombe, la rediviva Casa delle Libertà all'indomani dei festeggiamenti chiede, con un timido distinguo da parte di Casini, il voto anticipato già ad aprile con Prodi dimissionario a Palazzo Chigi.
Come diceva Massimo Giannini stamattina su Repubblica, la sensazione è che si sia aperta quella che Tremonti chiama la crisi perfetta, quella dove nessuno controlla niente e nessuno capisce come se ne possa uscire. La cosa che però risultava abbastanza chiara già guardando i talk show televisivi e le trasmissioni di approfondimento seguite al voto in Senato è che, qualora ne fossimo mai usciti, siamo alla vigilia di una nuova campagna elettorale. Un'altra. L'ennesima.
E' finita ma viene da chiedersi se quell'avventura non sarebbe dovuta concludersi molto prima o se addirittura sarebbe mai dovuta iniziare. Quello schieramento che metteva insieme Luxuria e la Binetti, Caruso e Dini, Di Pietro e Craxi con l'improbabile collante delle inutilizzate 281 pagine di programma e quello molto più reale e credibile del solito odio per Berlusconi. Quella vittoria incompleta, torbida, mutilata. Uno 0,06% in più alla Camera, e il sostegno malfermo dei senatori a vita o di quelli eletti all'estero a tamponare una sostanziale sconfitta in Senato, dovuta alla mancanza di voti più che alla vituperata legge elettorale. Lo sdegnoso rifiuto di un governo di larghe intese e l'occupazione dilagante, bulimica di qualunque posto di potere. Un esecutivo di 102 posti. Un record. A ciascuno la sua poltrona e state buoni se potete. Ma loro non possono, iniziano da subito i distinguo, i veti, le parole in libertà. Dalle liberalizzazioni, al rifinanziamento delle missioni militari all'estero, dalla finanziaria da 33,4 miliardi, alla sinistra di lotta e di governo il terreno si fa sempre più impervio e scivoloso. Neanche il tempo di fare il tagliando a Caserta che è subito crisi sfiorata sulla politica estera. Poi arriva la deflagrazione provocata dalla nascita del PD, il caso Speciale, la finanziaria semielettorale e il protocollo sul welfare, l'emergenza immondizia in Campania. Gli scricchiolii si sentono distintamente, e vengono dal centro come da sinistra. Il Prodi funambolo cerca di andare avanti tenace e volitivo, rivendica i suoi risultati, ma assomiglia sempre più a quel ministro di Saddam Hussein che con le truppe americane a Bagdad diceva che tutto andava bene e che il regime avrebbe retto. Mastella vittima di quella giustizia ad orologeria che fa tanto male quando colpisce sé e i propri cari, passa in 24 ore dal governo all'appoggio esterno, dall'appoggio esterno all'opposizione. E' finita. Il funambolo cade. La sua maggioranza, lo abbandona e non sono in molti ad avere rimpianti.
Ne ha certamente pochi Walter Veltroni che, come era prevedibile sin dall'indomani delle primarie plebiscitarie che lo hanno portato alla guida del PD, non sarebbe rimasto a lungo a farsi logorare abbinando la sua leadership all'operato di un governo moribondo. Sospinto dall'ecumenismo di facciata dei suoi “ma anche”, ha puntato in realtà a smarcarsi dal resto dell'Unione. Le dichiarazioni sulla vocazione maggioritaria, il dialogo in solitaria con Forza Italia sulla legge elettorale, il proclama di Orvieto “Il PD in ogni caso correrà da solo”, hanno portato all'allentamento del vincolo di coalizione e a una sorta di liberi tutti che, se non ha provocato la crisi, gli ha dato senza dubbio una grossa mano. Adesso Veltroni dopo aver subito il processo dei piccoli partiti ieri in Senato, deve affrontare le faide aperte all'interno di quel coacervo di correnti e oligarchie che è il PD. I prodiani mettono sotto accusa la sua strategia e già si vocifera di una possibile lista del premier pronta ad allearsi con quel che resta della maggioranza per dar vita ad una editio minor dell'Unione, i dalemiani come la Finocchiaro mettono apertamente in discussione la sua leadership, senza contare gli altri scontenti, gli ex Ppi e i coraggiosi di Rutelli. Chissà che non tocchi anche al Sindaco di Roma fare un po' il funambolo per evitare di finire prematuramente in naftalina.
La crisi ora è nelle mani del Presidente della Repubblica che di certo non ha un compito facile. Dovrà verificare se l'opzione di un governo a tempo per realizzare la riforma della legge elettorale e quella dei regolamenti parlamentari ha realmente la possibilità di ricevere il sostegno delle Camere. Intanto mentre il referendum di Guzzetta e Segni, appena ammesso dalla Corte costituzionale, incombe, la rediviva Casa delle Libertà all'indomani dei festeggiamenti chiede, con un timido distinguo da parte di Casini, il voto anticipato già ad aprile con Prodi dimissionario a Palazzo Chigi.
Come diceva Massimo Giannini stamattina su Repubblica, la sensazione è che si sia aperta quella che Tremonti chiama la crisi perfetta, quella dove nessuno controlla niente e nessuno capisce come se ne possa uscire. La cosa che però risultava abbastanza chiara già guardando i talk show televisivi e le trasmissioni di approfondimento seguite al voto in Senato è che, qualora ne fossimo mai usciti, siamo alla vigilia di una nuova campagna elettorale. Un'altra. L'ennesima.
4 commenti:
i funaboli fan spettacolo..
questi han fatto un brytto spettacolo.. vedi NAPOLI e poi scappi
L'attuale legge elettorale, però, non mi convince per un semplice motivo: ripercorre pedissequamente l'impostazione della logica dei poteri forti che consiste nel convogliare, in un sistema pseudo-democratico, il consenso del popolo su di un'unica strada, quella dei propri esclusivi interessi. Ultimo baluardo democratico è dunque l'alternanza e concorrenza dei due (o tre?) esistenti poteri forti, economici od economico-sociali (duopolio politico-economico).Non tollero,dunque, che un partito, oltre a dovermi indicare un elenco di nomi, debba impormi, all'interno dello stesso, una graduatoria a scorrimento predeterminata secondo logiche completamente estranee al volere del popolo. La vecchia legge elettorale (uninominale maggioritaria con una correzione del 25% per cento assegnata con il sistema proporzionale), qantomeno alla Camera dei deputati, dà la possibilità all'"elettore di esprimere due voti su due diverse schede:
- la prima serve a eleggere i singoli candidati dei collegi uninominali. L'elettore deve barrare la casella del candidato prescelto.
- la seconda è per le liste che concorrono alla ripartizione dei seggi su base proporzionale. L'elettore su questa scheda deve barrare la lista prescelta ma non può esprimere la propria preferenza per i candidati collegati alla lista stessa. Le candidature sono presentate nei 475collegi per la parte maggioritaria e nelle 26 (27) circoscrizioni per quella proporzionale". Sono andato a rivedermela!
Così come andro a rivedermi la proposta di sistema proporzionale alla "sellerona" o "chicche e sia"!
Mi sa che anche la vecchia legge era na zozzeria!i candidati da indicare erano uno per ogni partito!siamo lì!
ditemi quale elezione i candidati non li han decisi i partiti...
ditemi quale sistema sarà il migliore se non cambia la mentalità di tutti?
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