Sabato 1° dicembre si è celebrata come ogni anno la Giornata mondiale della lotta all'AIDS. Dal 1981, anno della sua scoperta, il virus HIV, causa della sindrome da immunodeficienza acquisita (Acquired Immune Deficiency Syndrome, AIDS), ha mietuto 25 milioni di vittime.
Secondo il nuovo rapporto Unaids (il programma delle Nazioni Unite volto a contrastare la malattia) gli individui sieropositivi nel mondo sono 33,2 milioni contro i 39,5 milioni stimati nel 2006, ogni anno si registrano 2,5 milioni di casi di cui 420 mila riguardano bambini con meno di 15 anni e la metà del totale persone al di sotto dei 25. Questo calo evidente non è dovuto purtroppo solo all'efficacia delle misure di prevenzione adottate, ma anche alla revisione dei metodi di rilevamento con cui sono state effettuate le stime, nonché all'altissimo numero di decessi. Le vittime dell'AIDS sono 2,1 milioni all'anno, tra questi 330 mila hanno meno di 15 anni. I tassi di mortalità infantile crescono a causa della trasmissione del virus da madre a figlio e sono oltre 15 milioni i bambini rimasti orfani a causa della malattia.
La situazione più drammatica resta quella dell'Africa dove l'AIDS è la prima causa di morte e dove vive 90% degli orfani per AIDS di tutto il pianeta. Il 67,7% delle persone sieropositive (22,5 milioni di cui il 61% donne) e il 76% dei decessi causati dalla malattia nel 2007 a livello mondiale si concentrano nell'Africa subsahariana. Rispetto agli anni scorsi il numero dei contagi in questa zona è diminuito attestandosi attorno a 1,7 milioni (che resta comunque il 68% del totale), grazie alla parziale efficacia delle campagne di prevenzione e alla migliore accessibilità alle cure antiretrovirali.
Il rapporto Unaids registra invece una tendenza opposta rispetto all'Africa, in alcune zone dell'Asia come l'Indonesia e il Vietnam e nei Caraibi dove l'1% degli adulti è positivo al virus HIV.
Secondo Peter Piot, direttore esecutivo Unaids, bisogna considerare i dati sul calo dei decessi e dei contagi con moderato ottimismo. Essi sono il risultato degli investimenti effettuati finora ma occorre aumentare gli sforzi per ridurre l'impatto dell'AIDS soprattuto in quelle zone del mondo dove per svariate ragioni la malattia assume le proporzioni di un vero flagello. Alla viglila del 1° dicembre Elizabeth Mataka, inviato del Segretario generale delle Nazioni Unite per la lotta contro l'AIDS in Africa, ha parlato dell'esigenza di una guida politica compatta e consapevole per affrontare il problema e di un intervento che, nelle zone più povere, come denunciato anche dal Programma mondiale alimentare, agisca sul binomio salute/malnutrizione. Lo sanno bene gli ideatori del programma Dream, Drug Resources Enhancement against AIDS and Malnutrition (Sogno, accrescimento delle cure e delle risorse contro AIDS e malnutrizione) che dal 2002 si occupano di offrire alle comunità di Mozambico, Tanzania, Nigeria e Angola cibo, cure e prevenzione. Su questo versante occorre tenere in considerazione l'Osservatorio italiano sull'azione globale contro l'AIDS (un network di 24 ONG italiane e internazionali) che nel corso del 2007 ha attivato 81 progetti di lotta contro la malattia e la povertà in 32 Paesi, e l'UNICEF per quanto riguarda soprattutto la complessa assistenza agli orfani per AIDS.
Uno scenario del tutto diverso è quello che troviamo nei paesi ricchi dove le migliori cure rispetto al passato, la maggiore accessibilità ad esse, la loro accresciuta compatibilità con la vita quotidiana (si è passato dalle 12 compresse al giorno ad un paio) hanno portato ad una cronicizzazione della malattia infatti, se il trattamento inizia quando il sistema immunitario non è ancora compromesso, l'aspettativa di vita può essere di 20-30 anni.
Questo miglioramento ha avuto l'effetto di un abbassamento della guardia generalizzato. Se contrarre una malattia diventa meno devastante, diventano più frequenti i comportamenti individuali che accrescono la probabilità di ammalarsi. Cala l'attenzione nell'uso dei mezzi di prevenzione: anche se si sono tenuti comportamenti rischiosi non si ricorre al test, si diventa potenziali vettori del virus verso altri individui, si ritarda il momento della diagnosi e dell'inizio delle cure.
Gli esperti di Onu e Ue, riuniti nell'iniziativa Hiv in Europa 2007 denunciano che dal 2001 sono stati registrati 760 mila casi di contagio nell'Ue e negli ultimi dieci anni 300 mila persone sono morte perchè non hanno curato in tempo la malattia. Il 40% dei sieropositivi europei arriva in ospedale quando la malattia è già in stadio avanzato.
Anche in Italia è la mancanza di consapevolezza la prima causa di propagazione del virus, oltre la metà dei sieropositivi scopre per caso di avere contratto il virus HIV. I contagi nel nostro Paese nel 2007 sono stati 4000, il totale dei malati è di 140 mila. Sono soprattutto uomini, eterosessuali (la percentuale delle donne è attorno al 30%) e hanno mediamente un'età di 42 anni.
Questa involuzione va combattuta. La cura e la prevenzione dell'AIDS non sono alternativi ma assolutamente complementari e occorrono massicce campagne di sensibilizzazione che illustrino le modalità di trasmissione del virus, che inducano all'uso del preservativo e in genere a tenere comportamenti non a rischio, che invitino a sottoporsi al test diagnostico, che puntino a ridurre la discriminazione delle persone affette da HIV. Sia AIDS Action Europe sia il Ministero della Salute stanno facendo qualcosa in questo senso.
Secondo il nuovo rapporto Unaids (il programma delle Nazioni Unite volto a contrastare la malattia) gli individui sieropositivi nel mondo sono 33,2 milioni contro i 39,5 milioni stimati nel 2006, ogni anno si registrano 2,5 milioni di casi di cui 420 mila riguardano bambini con meno di 15 anni e la metà del totale persone al di sotto dei 25. Questo calo evidente non è dovuto purtroppo solo all'efficacia delle misure di prevenzione adottate, ma anche alla revisione dei metodi di rilevamento con cui sono state effettuate le stime, nonché all'altissimo numero di decessi. Le vittime dell'AIDS sono 2,1 milioni all'anno, tra questi 330 mila hanno meno di 15 anni. I tassi di mortalità infantile crescono a causa della trasmissione del virus da madre a figlio e sono oltre 15 milioni i bambini rimasti orfani a causa della malattia.
La situazione più drammatica resta quella dell'Africa dove l'AIDS è la prima causa di morte e dove vive 90% degli orfani per AIDS di tutto il pianeta. Il 67,7% delle persone sieropositive (22,5 milioni di cui il 61% donne) e il 76% dei decessi causati dalla malattia nel 2007 a livello mondiale si concentrano nell'Africa subsahariana. Rispetto agli anni scorsi il numero dei contagi in questa zona è diminuito attestandosi attorno a 1,7 milioni (che resta comunque il 68% del totale), grazie alla parziale efficacia delle campagne di prevenzione e alla migliore accessibilità alle cure antiretrovirali.
Il rapporto Unaids registra invece una tendenza opposta rispetto all'Africa, in alcune zone dell'Asia come l'Indonesia e il Vietnam e nei Caraibi dove l'1% degli adulti è positivo al virus HIV.
Secondo Peter Piot, direttore esecutivo Unaids, bisogna considerare i dati sul calo dei decessi e dei contagi con moderato ottimismo. Essi sono il risultato degli investimenti effettuati finora ma occorre aumentare gli sforzi per ridurre l'impatto dell'AIDS soprattuto in quelle zone del mondo dove per svariate ragioni la malattia assume le proporzioni di un vero flagello. Alla viglila del 1° dicembre Elizabeth Mataka, inviato del Segretario generale delle Nazioni Unite per la lotta contro l'AIDS in Africa, ha parlato dell'esigenza di una guida politica compatta e consapevole per affrontare il problema e di un intervento che, nelle zone più povere, come denunciato anche dal Programma mondiale alimentare, agisca sul binomio salute/malnutrizione. Lo sanno bene gli ideatori del programma Dream, Drug Resources Enhancement against AIDS and Malnutrition (Sogno, accrescimento delle cure e delle risorse contro AIDS e malnutrizione) che dal 2002 si occupano di offrire alle comunità di Mozambico, Tanzania, Nigeria e Angola cibo, cure e prevenzione. Su questo versante occorre tenere in considerazione l'Osservatorio italiano sull'azione globale contro l'AIDS (un network di 24 ONG italiane e internazionali) che nel corso del 2007 ha attivato 81 progetti di lotta contro la malattia e la povertà in 32 Paesi, e l'UNICEF per quanto riguarda soprattutto la complessa assistenza agli orfani per AIDS.
Uno scenario del tutto diverso è quello che troviamo nei paesi ricchi dove le migliori cure rispetto al passato, la maggiore accessibilità ad esse, la loro accresciuta compatibilità con la vita quotidiana (si è passato dalle 12 compresse al giorno ad un paio) hanno portato ad una cronicizzazione della malattia infatti, se il trattamento inizia quando il sistema immunitario non è ancora compromesso, l'aspettativa di vita può essere di 20-30 anni.
Questo miglioramento ha avuto l'effetto di un abbassamento della guardia generalizzato. Se contrarre una malattia diventa meno devastante, diventano più frequenti i comportamenti individuali che accrescono la probabilità di ammalarsi. Cala l'attenzione nell'uso dei mezzi di prevenzione: anche se si sono tenuti comportamenti rischiosi non si ricorre al test, si diventa potenziali vettori del virus verso altri individui, si ritarda il momento della diagnosi e dell'inizio delle cure.
Gli esperti di Onu e Ue, riuniti nell'iniziativa Hiv in Europa 2007 denunciano che dal 2001 sono stati registrati 760 mila casi di contagio nell'Ue e negli ultimi dieci anni 300 mila persone sono morte perchè non hanno curato in tempo la malattia. Il 40% dei sieropositivi europei arriva in ospedale quando la malattia è già in stadio avanzato.
Anche in Italia è la mancanza di consapevolezza la prima causa di propagazione del virus, oltre la metà dei sieropositivi scopre per caso di avere contratto il virus HIV. I contagi nel nostro Paese nel 2007 sono stati 4000, il totale dei malati è di 140 mila. Sono soprattutto uomini, eterosessuali (la percentuale delle donne è attorno al 30%) e hanno mediamente un'età di 42 anni.
Questa involuzione va combattuta. La cura e la prevenzione dell'AIDS non sono alternativi ma assolutamente complementari e occorrono massicce campagne di sensibilizzazione che illustrino le modalità di trasmissione del virus, che inducano all'uso del preservativo e in genere a tenere comportamenti non a rischio, che invitino a sottoporsi al test diagnostico, che puntino a ridurre la discriminazione delle persone affette da HIV. Sia AIDS Action Europe sia il Ministero della Salute stanno facendo qualcosa in questo senso.
2 commenti:
Sono assolutamente d'accordo: abbassare la guardia sarebbe da sconsiderati...e poi si devono cercare soluzioni anche per abbassare il prezzo dei preservatici..che soprattutto per i più giovani sono costosissimi...
http://www.camelotdestraideale.it/
@Camelot: e poi si devono cercare soluzioni anche per abbassare il prezzo dei preservatici
Beh questo almeno non è un problema che ti tocca... ah ah ah ah
www.dillatutta.com
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