Quella di Ernesto Che Guevara è la strana storia di un feroce assassino diventato icona pop. Moriva 40 anni fa Che Guevara, il 9 ottobre 1967 fucilato in Bolivia. In questi giorni le commemorazioni sono numerose in tutto il Sud America. In Italia si assiste alla solita glorificazione dei quotidiani di sinistra che danno in pasto ai propri lettori le solite agiografie: Liberazione titolava «Evviva Che Guevara», il Manifesto, ci segnala Fausto Carioti su Libero, pubblicava lo stesso articolo che Gianni Minà scrive da 40 anni, ma non basta il santino del Che della stampa comunista. Sta per arrivare nelle sale Guerrilla! di Steven Soderbergh con Benicio Del Toro, terzo film in poco tempo dedicato al medico e guerrigliero argentino, dopo Che Guevara diretto da Josh Evans e I Diari della motocicletta prodotto da Robert Redford e diretto da Walter Selles che mostra il viaggio sudamericano del giovane Guevara che ricerca se stesso e si confronta con la sua nascente coscienza politica. Una pellicola che in qualche modo ha contribuito a rafforzare il suo mito romantico e ribelle nato nel 1997 quando i resti del Che vennero ritrovati nei pressi della pista d’atterraggio dell’aeroporto di Vallegrande in Bolivia. Da allora la figura del rivoluzionario nella fotografia di Alberto Korda scattata nei primi anni della rivoluzione cubana è diventata l’icona della giustizia sociale e della lotta agli abusi del potere in tutto il mondo, le ormai numerosissime pubblicazioni sul Che e un poderoso merchandise (qui potete trovare addirittura The Che store, tutto quello che vi serve per le vostre esigenze rivoluzionarie…) hanno fatto di lui un simbolo totalmente slegato dalla propria realtà storica e dal proprio operato politico tanto che i ragazzi argentini hanno coniato l’espressione ho una maglietta del Che e non so perché.
A ricordarci chi è stato davvero Ernesto Che Guevara ci pensano da anni autori latino americani come Carlos Alberto Montaner e Alvaro Vargas Llosa. Di quest’ultimo è uscito recentemente in Italia per Lindau, Il mito Che Guevara e il futuro della libertà, una raccolta di citazioni degli scritti del Che, testimonianze e documenti che smontano il mito e ci consegnano la figura di un assassino spietato e di un politico mediocre.
L’idea di quello che il Che pensava è ben riassunta dalle sue parole dell’aprile 1967 in un messaggio alla Tricontinentale, l’organizzazione rivoluzionaria afro-asiatico-sudamericana, «L’odio è fattore di lotta contro il nemico, che spinge oltre i limiti naturali dell’essere umano e lo trasforma in una reale, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere».
Durante la lotta armata contro il regime di Batista, Che Guevara uccise personalmente o supervisionò alla morte di decine di persone tra nemici della rivoluzione e semplici sospettati. Un’importante fonte per comprendere la sua indole sanguinaria sono i suoi stessi scritti, dal diario tenuto sulla Sierra Maestra ci racconta di aver ucciso il guerrigliero Eutimio Guerra solo perché sospettato di essere un informatore, il contadino Aristidio per aver espresso il desiderio di volersene andare dopo l’arrivo dei ribelli ed Echevarrìa, fratello di un suo compagno, per colpe non meglio specificate.
Jaime Costa Vázquez, ex comandante dell’esercito rivoluzionario, racconta che a Santa Clara, avamposto della guerriglia nel centro di Cuba, il Che ordinò l’esecuzione di una ventina di soldati, molti tra loro erano contadini che si erano arruolati per sfuggire alla povertà.
Dopo la conquista dell’isola, siamo nel 1959, Castro lo incaricò di dirigere la prigione della fortezza di San Carlos de la Cabaña. Lì c’erano circa ottocento prigionieri in uno spazio adeguato a non più di trecento persone, tra loro membri dell’esercito e della polizia, giornalisti ma anche commercianti. José Vilasuso, giurista e docente fu membro del tribunale militare che eseguiva i processi sommari. Racconta a Vargas Llosa che gli ordini del Che erano di agire in modo risoluto. Il tribunale emetteva la sentenza che subito veniva confermata dalla corte d’appello presieduta dallo stesso Guevara. Le esecuzioni avevano luogo dal lunedì al venerdì in piena notte.
Javier Arzuaga, cappellano della prigione, assistette personalmente a decine di esecuzioni anche a quella di un ragazzino, Ariel Lima.
Le cifre delle persone giustiziate a La Cabaña non si conoscono con esattezza, alcune fonti parlano di duecento persone altre arrivano a dire che ci furono circa settecento esecuzioni. Villasuso afferma che nei mesi di direzione di Che Guevara le condanne a morte effettuate furono quattrocento.
Il progetto Cuba Archive, che si occupa di conteggiare le vittime della rivoluzione cubana, adotta un metodo molto rigoroso, vengono inserite nell’elenco solo quelle persone alle quali è possibile attribuire un nome e per cui esista conferma da parte di almeno due fonti indipendenti. Ebbene il Cuba Archive, con questo metodo restrittivo, attribuisce a Che Guevara ben 164 esecuzioni tra il 3 gennaio e il 26 novembre 1959.
Se come assassino Che Guevara non aveva nulla da imparare, come politico si rivelò alquanto maldestro. Alla fine del 1959 assunse l’incarico di direttore della Banca Nazionale di Cuba e del Dipartimento dell’industria dell’Istituto Nazionale per la Riforma Agraria, nel 1961 divenne ministro dell’industria. Negli anni in cui Guevara fu a capo di questo importante settore dell’economia cubana la produzione di zucchero crollò e l’industrializzazione conobbe un periodo di grave crisi dovuta non solo all’embargo statunitense.
Il quadro che emerge è sicuramente approssimativo e incompleto ma rende l’idea di chi fosse davvero l’idolo dei pacifisti e dei postcomunisti di tutto il mondo che non curanti di tutto continueranno a sfilare fieri di indossare la loro bella maglietta con la faccia del Che…
A ricordarci chi è stato davvero Ernesto Che Guevara ci pensano da anni autori latino americani come Carlos Alberto Montaner e Alvaro Vargas Llosa. Di quest’ultimo è uscito recentemente in Italia per Lindau, Il mito Che Guevara e il futuro della libertà, una raccolta di citazioni degli scritti del Che, testimonianze e documenti che smontano il mito e ci consegnano la figura di un assassino spietato e di un politico mediocre.
L’idea di quello che il Che pensava è ben riassunta dalle sue parole dell’aprile 1967 in un messaggio alla Tricontinentale, l’organizzazione rivoluzionaria afro-asiatico-sudamericana, «L’odio è fattore di lotta contro il nemico, che spinge oltre i limiti naturali dell’essere umano e lo trasforma in una reale, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere».
Durante la lotta armata contro il regime di Batista, Che Guevara uccise personalmente o supervisionò alla morte di decine di persone tra nemici della rivoluzione e semplici sospettati. Un’importante fonte per comprendere la sua indole sanguinaria sono i suoi stessi scritti, dal diario tenuto sulla Sierra Maestra ci racconta di aver ucciso il guerrigliero Eutimio Guerra solo perché sospettato di essere un informatore, il contadino Aristidio per aver espresso il desiderio di volersene andare dopo l’arrivo dei ribelli ed Echevarrìa, fratello di un suo compagno, per colpe non meglio specificate.
Jaime Costa Vázquez, ex comandante dell’esercito rivoluzionario, racconta che a Santa Clara, avamposto della guerriglia nel centro di Cuba, il Che ordinò l’esecuzione di una ventina di soldati, molti tra loro erano contadini che si erano arruolati per sfuggire alla povertà.
Dopo la conquista dell’isola, siamo nel 1959, Castro lo incaricò di dirigere la prigione della fortezza di San Carlos de la Cabaña. Lì c’erano circa ottocento prigionieri in uno spazio adeguato a non più di trecento persone, tra loro membri dell’esercito e della polizia, giornalisti ma anche commercianti. José Vilasuso, giurista e docente fu membro del tribunale militare che eseguiva i processi sommari. Racconta a Vargas Llosa che gli ordini del Che erano di agire in modo risoluto. Il tribunale emetteva la sentenza che subito veniva confermata dalla corte d’appello presieduta dallo stesso Guevara. Le esecuzioni avevano luogo dal lunedì al venerdì in piena notte.
Javier Arzuaga, cappellano della prigione, assistette personalmente a decine di esecuzioni anche a quella di un ragazzino, Ariel Lima.
Le cifre delle persone giustiziate a La Cabaña non si conoscono con esattezza, alcune fonti parlano di duecento persone altre arrivano a dire che ci furono circa settecento esecuzioni. Villasuso afferma che nei mesi di direzione di Che Guevara le condanne a morte effettuate furono quattrocento.
Il progetto Cuba Archive, che si occupa di conteggiare le vittime della rivoluzione cubana, adotta un metodo molto rigoroso, vengono inserite nell’elenco solo quelle persone alle quali è possibile attribuire un nome e per cui esista conferma da parte di almeno due fonti indipendenti. Ebbene il Cuba Archive, con questo metodo restrittivo, attribuisce a Che Guevara ben 164 esecuzioni tra il 3 gennaio e il 26 novembre 1959.
Se come assassino Che Guevara non aveva nulla da imparare, come politico si rivelò alquanto maldestro. Alla fine del 1959 assunse l’incarico di direttore della Banca Nazionale di Cuba e del Dipartimento dell’industria dell’Istituto Nazionale per la Riforma Agraria, nel 1961 divenne ministro dell’industria. Negli anni in cui Guevara fu a capo di questo importante settore dell’economia cubana la produzione di zucchero crollò e l’industrializzazione conobbe un periodo di grave crisi dovuta non solo all’embargo statunitense.
Il quadro che emerge è sicuramente approssimativo e incompleto ma rende l’idea di chi fosse davvero l’idolo dei pacifisti e dei postcomunisti di tutto il mondo che non curanti di tutto continueranno a sfilare fieri di indossare la loro bella maglietta con la faccia del Che…
Per saperne di più sull’argomento trattato in questo post puoi leggere Il libro nero del comunismo cubano (ovvero il conto del macellaio) da A Conservative Mind, il blog di Fausto Carioti.
13 commenti:
Casualmente capito in questo blog e dopo aver letto una serie di cose ovvie, conosciute a tutti e frutto di un buon copia ed incolla da quel gran calderone che è la rete, non posso non lasciare un commento.
Per chi "conosce" il Che, questo articolo non intacca minimamente l'idea di questo rivoluzionario.
Chi lo ama, ama l'ideologia e purtroppo l'utopia che c'è dietro la sua azione, la voglia di un mondo più giusto. Ama soprattutto il suo sacrificio per inseguire questi ideali, con tutti gli errori che gli esseri umani commettono e che tu hai elencato.
Noto che sponsorizzi partiti di centro destra. Ognuno ha le sue idee fortunatamente, ma a volte bisogna guardare oltre la staccionata del giardino in cui abbiamo trovato asilo.
Mi piacerebbe leggere su questo blog un articolo altrettanto dettagliato su un assassino nostrano, quel Marcello Dell'Utri ( per chi non lo conoscesse http://it.wikipedia.org/wiki/Marcello_Dell'Utri ), autore non di 167 esecuzioni, ma assasino della democrazia. Come ha detto Miccichè ieri all'aeroporto di Falcone-Borsellino di Palermo: "Triste un aeroporto con questo nome...che immagine negativa trasmettiamo subito..." ...infatti meglio dimenticare...
Preferisco la maglietta con l'effigie del Che a quella col faccione di Dell'Utri!
De gustibus
Ciao
Dell'Utri, non ancora condannato da alcun Tribunale al mondo per crimini che tali siano ( altra cosa sono i reati di natura fiscale molto meno gravi di quelli commessi da un certo Valentino Rossi), è conosciuto solo come un dei maggiori e più fini bibliografi del mondo. Quale democrazia abbia assassinato non è noto,nè lo spiega il sig. Francesco, mentre è nota quale sia la democrazia assassinata dal Che in combutta con tale Castro che tiene in galera milioni di cubani che ebbero la disavventura di credere che fossero dei liberatori mentre in effetti si sono rivelati come i nuovi schiavisti. Quel che sarebbe meglio dimenticare è la triste esperienza del Che e del comunismo, infamia mondiale equiparabile solo al nazismo, con la differenza che il nazismo durò dieci anni e il comunismo purtroppo oltre 60.
D'accordo, ma Dell'Utri non è un bibliografo...è un bibliofilo.
Sempre interessante leggere i post di questo blog e dunque mi riallaccio.
Solo adesso, dopo 15 anni di problemi di vita quotidiana sulle spalle, sto avendo conferma che oggi le ideologie, con le correlate e sempre consegueziali utopie, sono principalmente coltivate da chi null'altro ha da fare (figli di papà o lavatori full time)(e non mi rivolgo a nessun caso specifico). E' una modestissima statistica personale che rispecchia il mio pensiero in tal senso. Dico a francesco che l'"utopia" per me non è "la voglia di un mondo più giusto" bensì "un mondo giusto". Pertanto un mondo "più" giusto è possibile e credo anche semplice da raggiungere come obiettivo. Più ingiusto di così!Per fare ciò avresti bisogno per forza di un' ideologia e di un idolo assassini?
Non vorrei fare il clericalista a tempo perso ma..il così tanto osannato CHE GUEVARA che, pur nel perseguire un giusto ed equo obiettivo (è tutto da dimostrare), ammazzò...diciamo... almeno una persona, potrebbe mai essere un ideale di uomo? HA UCCISO!!!Sarebbe coraggioso e giusto un uomo che uccide pur solo per sopravvivere?MA...mi consenta!
Vivi sotto la figura emblematica del Che per tanti anni nel mio paese. Me hanno fatto gridare a squarciagola che volevo essere come Lui.
Ho letto la sua vita scritta per il suo padre, dove racconta la vita di un giovane ribelle della nascita ,Ma normale nel resto.
Cosa sia successo durante la loro lotta in la Sierra Maestra del 56-al 59, non lo so di preciso, Ma Guerra è Guerra!!! O uccidi o vieni ucciso. i dettagli non gli conosco.
Non sono sicura che il Che abbia avuto voglia di finire nella maglietta di nessuno, ni meno in una statua enorme, qualcosa mi dice di NO.
Al Che lo hanno fatto Martire quelli che un martire gli mancava, ancora vivono da lui.
Me molesta che tanti si identifichino con una figura che prima non conoscono. Per altra parte chi ha ucciso una persona nella vita non credo sia esempio per nessuno.
Volere il bene e giustizia per tutti, sono state sempre idee di tanti. Il modo di farle realtà senza farle male a nessuno, è il vero merito! Viva Gandhi
scusa per mio povero dominio del idioma, Saluti
Viva San Francesco d'Assisi
PARCO MURGIA, NIENTE FUNGHI PER UN ANNO
LA STAGIONE DEI FUNGHI COMPROMESSA DAGLI INCENDI E DALLA MANCANZA DI PIOGGE.
PER QUESTO, IL PRESIDENTE DEL PARCO DELL'ALTA MURGIA, HA VIETATO, PER UN ANNO, LA RACCOLTA DEI FUNGHI PER RIMEDIARE AI DANNI ARRECATI ALL'ECOSISTEMA DAI NUMEROSI ROGHI CHE QUEST'ESTATE HANNO DEVASTATO I BOSCHI DEL PARCO, TRA GRAVINA, ALTAMURA, SPINAZZOLA E MINERVINO MURGE.
LE AREE SOTTOPOSTE AL DIVIETO SARANNO RICONOSCIBILI DA INDICAZIONI E CARTELLI SUL POSTO.
SARA' VIETATA ANCHE LA RACCOLTA DI ALTRI PRODOTTI DELLA VEGETAZIONE SPONTANEA.
AGLI UOMINI DELLA FORESTALE IL COMPITO DI FAR RISPETTARE L'ORDINANZA.
13/10/07 redtno@telenorba
te pareva! Ti appassioni ai commenti e poi.... ti spunta un fungo!
Dibattito quanto mai interessante. Non conoscevo la vita del Che con la ricchezza di dettagli che ho trovato su questo ed altri blog e perciò Luciano te ne sono grata.
Mi riallaccio al commento di ergo in particolar modo per ribadire che ci sono tanti eroi dalle mani pulite e tante persone dalla storia esemplare che potrebbero essere a simbolo di un impegno per un mondo giusto. Chi è Cristiano scelga Cristo o San Francesco o il santo che più gli aggrada, chi è buddista prenda il Dalai Lama, chi è ateo prenda pure il vicino di casa virtuoso. Non credo che Che Guevara, in quanto assassino, possa incarnare i valori più belli.
Resta comunque da parte mia la condanna per la morte che gli è stata inflitta e per il vilipendio del suo cadavere. Condanna che ha un carattere universale, al di là di chi sia la vittima. citando la frase di un mio amico, non importa che sia il Che o Mussolini.
Sottoscrivo in toto.
PER ARABA FENICE:PECCATO CHE PER MUSSOLINI NON CI SIA STATA E NON CI SIA TUTTORA ALCUNA PAROLA DI PIETAS PER LA SUA MORTE E SOPRATUTTO PER L'IGNOBILE VILIPENDIO DEL SUO CADAVERE E ANCOR PIU' DI QUELLO DI CLARETTA LA CUI UNICA COLPA FU DI AVER SEGUITO L'UOMO CHE AMAVA. LEI FU UCCISA SOLO PERCHE' AMAVA L'UOMO SBAGLIATO. MERITA RISPETTO E RICORDO.
@ anonimo: non posso darti torto.
Dell'Utri ha avuto una condanna DEFINITIVA a 9 anni per associazione a delinquere di stampo MAFIOSO . Dell'Utri è un mafioso ed è uno degli esponenti piu importanti di FORZA ITALIA .
Altro che Valentino Rossi e reati di natura fiscale .
Mistificatorei di verità .
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