sabato 20 giugno 2009

Sì, no...forse

Si vota per l'abolizione delle coalizioni e della presentazione delle candidature multiple nell'elezione del Parlamento. I referendum rischiano di modificare ben poco la situazione e ci sono seri dubbi sul fatto che riescano a superare il fattore disinteresse

In una sostanziale indifferenza si torna alle urne per votare i referendum sulla legge elettorale. I quesiti sono tre e riguardano altrettante norme della legge 270 del 2005, meglio nota come “porcellum”. Il primo quesito (scheda viola) riguarda l'attribuzione del premio di maggioranza nell'elezione della Camera dei deputati. Il referendum mira ad abrogare la disciplina che permette il collegamento tra liste. Se il referendum passasse, il primo effetto riguarderebbe il premio di maggioranza che oggi viene ripartito su base nazionale tra le liste in coalizione e che verrebbe invece attribuito solo alla lista singola che abbia ottenuto il maggior numero di seggi. Con l'abolizione del collegamento tra liste, rimarrebbe una soglia di sbarramento secca al 4%, verrebbero naturalmente eliminate la soglia del 2% per i partiti in coalizione e la garanzia di rappresentanza per la prima lista della coalizione che non abbia superato il 2%.
Il secondo quesito (scheda beige) si propone di abolire il collegamento tra liste per l'elezione del Senato della Repubblica sicché il premio di maggioranza sarebbe attribuito su base regionale alla lista singola con il maggior numero di seggi. La soglia di sbarramento rimane all'8%.
Il terzo quesito (scheda verde) vuole abrogare la possibilità per un singolo candidato di presentarsi in più circoscrizioni della Camera dei deputati.
I tre referendum presentati dal costituzionalista Giovanni Guzzetta e da Mario Segni arrivano all'appuntamento con l'elettorato in qualche modo già superati dai fatti della politica. Se la loro ragion d'essere era forte all'indomani del voto del 2006 che vide fronteggiarsi due coalizioni con numerosissime sigle, nel voto del 2008 la politica aveva provveduto da sola ad una notevole semplificazione. Il Partito democratico e il Popolo della Libertà si presentavano affiancati da un solo alleato. Il sistema mostra segni di autonoma stabilizzazione e prova ne è anche la recente tornata elettorale europea che ha visto approdare a Strasburgo, grazie allo sbarramento del 4%, gli stessi cinque partiti che sono rappresentati nel Parlamento italiano.
I referendum elettorali hanno fallito anche l'obiettivo indiretto di indurre il Parlamento a scrivere una nuova legge elettorale e dubito che dopo la loro celebrazione si possa procedere in questo senso. Se il quorum non dovesse essere superato o dovesse prevalere il no, ci sono forti possibilità che questo risultato venga letto come un implicito avallo alla legge attualmente in vigore, se dovesse vincere il sì le ricadute positive per i due maggiori partiti sarebbero troppo ghiotte per credere che verosimilmente essi possano mettere mano ad una riforma elettorale.
Il principale effetto dei referendum sarebbe infatti il consolidamento del bipartitismo, la definitiva eliminazione del rischio frammentazione e una maggiore governabilità. La legge che uscirebbe dalle urne consentirebbe ai maggiori partiti di governare da soli senza i diktat di alleati molto pretenziosi e relativamente poco rappresentativi.
Ma se questo è vero in via teorica, praticamente potrebbero aprirsi altri scenari. I maggiori partiti, pur di vincere le elezioni, potrebbero trovare il modo di aggirare l'ostacolo presentando sotto un unico simbolo quella che di fatto è una coalizione con i propri alleati, pochi o tanti che siano. Così la differenza tra “coalizione di liste elettorali” e “lista elettorale” sarebbe assai meno netta di quanto non vogliano i promotori del referendum, con tutte le conseguenze che questo comporta.
L'altro effetto, di sicuro più concreto, è quello che deriverebbe dall'approvazione del terzo quesito. Grazie all'abrogazione della possibilità delle candidature multiple, verrà eliminata la prassi secondo cui i leader di partito, candidati in più circoscrizioni, decidono attraverso rinunce strategiche chi far entrare in Parlamento.
Dal sommario esame degli effetti dei referendum elettorali si comprende facilmente come la loro approvazione non porterebbe a grandi modifiche dell'attuale legge, essi non intervengono sulle liste bloccate, né sulla loro lunghezza, né sulla dimensione delle circoscrizioni, né sul recupero della rappresentatività territoriale degli eletti, tutti aspetti che dovrebbero essere oggetto di un attento intervento parlamentare e che non possono essere affrontati con la mannaia del referendum abrogativo, un istituto che perdipiù, spiace dirlo, risulta nei fatti ampiamente delegittimato. Gli ultimi referendum per i quali è stato raggiunto il quorum risalgono all'11 giugno del 1995, da allora gli altri 21 che si sono susseguiti negli anni sono stati battuti da un'astensione crescente. Se anche ai referendum sulla legge 270 del 2005 dovesse essere riservato lo stesso trattamento, il Parlamento dovrebbe mettere in agenda la riforma dell'istituto referendario prima che quella della legge elettorale.

Nessun commento: