giovedì 17 aprile 2008

Il Popolo della Libertà al governo. Senza alibi.


Il voto del 13 e 14 aprile è stato un terremoto. Quel meccanismo di semplificazione che si era messo in moto già all'indomani della caduta del governo dell'Unione, facendo da subito vittime eccellenti come Mastella, è stato all'altezza delle aspettative. Sono scomparsi dalla geografia parlamentare i comunisti, i fondamentalisti ambientalisti, gli antagonisti, i movimentisti, i no-global, gli ultralaicisti. Sono scomparsi Bertinotti, Pecoraro, Mussi, Diliberto, Boselli e da ultimo, definitivamente, Romano Prodi dimessosi anche dalla Presidenza del Partito democratico. E' stato cancellato nel giro di pochi mesi un pezzo importante di quella classe dirigente presuntuosa, bellicosa e malferma che negli ultimi due anni ha tenuto le sorti del nostro Paese. Sono convinto non ne sentiremo affatto la mancanza.
La vittoria della coalizione guidata dal Popolo della Libertà è stata limpida, netta, uniforme in tutto il Paese e sostenuta da un'affluenza pari all'80% circa, di poco inferiore a quella record del 2006. Il distacco di 9,2 punti alla Camera e di 9,4 punti al Senato, rispetto al Partito democratico, è la riprova che molti sondaggi della vigilia, che prevedevano un testa a testa e un quadro di ingovernabilità, erano sbagliati e molto spesso non senza malafede. Anche il tanto vituperato porcellum ha retto, dimostrando che la debolezza del governo Prodi era debolezza politica e numerica e non certo dovuta ad una legge elettorale che pure ha tanti difetti, ma che ha certamente contribuito, mediante le soglie di sbarramento, ad una storica semplificazione del quadro politico, che ci avvicina alle migliori e più solide democrazie europee ed occidentali. La polarizzazione del voto ci consegna una Camera composta dai quattro ai sei gruppi parlamentari (nella scorsa legislatura alla Camera i gruppi erano 14 senza considerare le componenti del gruppo misto) e un Senato che non va oltre i tre o quattro. Il risultato per la Camera dei deputati vede il Popolo della Libertà al 37,4% con 272 seggi assegnati a cui si aggiungono i 4 conquistati all'estero per un totale di 276 seggi; la Lega Nord all'8,3% con 60 seggi e il Movimento per l'autonomia all'1,1% che con il sistema dei ripescaggi conquista 8 seggi. Il totale di coalizione è di 344 deputati. Il Partito democratico si è fermato al 33,2% con 211 seggi, più i 6 dell'estero, 217 in tutto; l'Italia dei valori al 4,4% conquista 28 seggi, più uno all'estero. Il totale di coalizione è di 246 seggi. L'Unione di centro con il 5,6% si aggiudica 36 seggi; due seggi al Sudtiroler Volks Partei; uno all' Autonomie Libertè Democratie valdostana; uno a Italiani all'estero.
Netta vittoria di Pdl, Lega e Mpa anche al Senato. La coalizione guidata da Berlusconi ha vinto il premio di maggioranza in 13 regioni, Pd e Idv nelle restanti 6 tra cui Molise e Basilicata scarsamente influenti a questo fine. I risultati vedono il Popolo della Libertà al 38,2% con 144 seggi a cui si aggiungono 3 senatori eletti all'estero; la Lega Nord all'8,1% con 25 seggi e il Movimento per l'autonomia che grazie al risultato ottenuto in Sicilia, conquista due seggi. La coalizione si ferma a quota 174. Il Partito democratico registra il 33,7% con 116 seggi, più i due dell'estero; l'Italia dei valori è al 4,3% con 14 seggi. Il totale di coalizione è di 132 senatori. All'Udc vanno 3 senatori eletti in Sicilia, unica regione dove la lista supera lo sbarramento dell'8%; due a Svp – Insieme per l'autonomia; 2 al Sudtiroler Volks Partei; uno a Vallée d'Aoste; uno a Italiani all'estero.
L'onda lunga della vittoria del Popolo della Libertà si è abbattuta anche sulle elezioni amministrative. In Sicilia il candidato dell'intero centrodestra alla presidenza della regione, Raffaele Lombardo, batte sonoramente la candidata del centrosinistra, Anna Finocchiaro, 65,3% a 30,4%. Stesso copione in Friuli dove Renzo Tondo del centrodestra, conquista il 53,8% dei voti contro il governatore uscente, Riccardo Illy del centrosinistra, che si ferma al 46,2%. Gran parte delle sfide per la presidenza delle province è rimandata al 27 aprile, vanno infatti al ballottaggio Roma, Asti, Massa-Carrara e Foggia. Eletti al primo turno invece i presidenti della provincia di Varese e di Udine che restano al centrodestra e quelli di Benevento e Vibo Valentia che rimangono al centrosinistra. Sei dei nove comuni capoluogo dove si votava, vanno al ballottaggio, tra questi Roma dove Gianni Alemanno, Pdl, può insidiare seriamente l'attuale vantaggio di Francesco Rutelli, candidato di tutto il centrosinistra. Brescia e Sondrio vanno al centrodestra al primo turno, Pescara al centrosinistra.
Al di là della dose massiccia di numeri a cui siamo stati sottoposti nei giorni passati vi sono alcuni dati politici di grande importanza che emergono da questa tornata elettorale. In primo luogo l'avanzamento delle due forze anti-sistema, Lega Nord e Italia dei valori. La Lega ha saldato al suo tradizionale voto di protesta, anche un voto di proposta su specifiche questioni come il fisco vessatorio, la sicurezza, l'immigrazione, le infrastrutture, il federalismo. Ha valicato i confini delle sue roccaforti, Veneto e Lombardia, dove stravince, per affermarsi anche in Emilia Romagna con percentuali superiori al 7% a fronte di una Sinistra arcobaleno che non va oltre il 4. Ha valicato i limiti del suo elettorato storico per registrare una vastissima affermazione anche tra pensionati e lavoratori dipendenti.
L'Italia dei valori di Di Pietro ha intercettato più di ogni altra forza i sentimenti di antipolitica raddoppiando il numero dei deputati e triplicando quello dei senatori nel giro di due anni. Quanto basta per far sfumare le promesse di confluenza in un gruppo unico con il Partito democratico, riportandoci a quelle logiche di smarcamento continuo a cui eravamo abituati e che puntualmente ritornano in questa editio minor dell'Unione per fortuna oggi relegata all'opposizione.
Certo il dato più eclatante, lo accennavo prima, è la scomparsa senza se e senza ma della sinistra massimalista e con essa in generale di tutte le ali estreme, dai socialisti ultralaicisti alla Destra che pure riesce a guadagnare il 2,5% dei voti. Rifondazione comunista, Verdi e Comunisti italiani avevano raggiunto insieme nel 2006 il 10,2% oggi con l'aggiunta della Sinistra Ds che non ha aderito al Pd sono poco oltre il 3% sia alla Camera che al Senato. Su questa débâcle ha certamente pesato la profonda crisi di identità di una sinistra Circo Barnum che metteva insieme transgender, rom, veterocomunisti e soggetti non meglio identificati dediti all'esproprio proletario; ha pesato l'appello al voto utile; ha pesato l'astensionismo; ha pesato l'eredità del governo Prodi che ha visto la sinistra massimalista per alcuni troppo aquiescente per altri troppo barricadera; ha pesato il continuo ciondolare tra i velluti di Montecitorio e i sampietrini della piazza ma ha pesato più di tutto il suo profondo, cronico, insanabile conservatorismo. Il suo essere rimasta a fine ottocento. Il suo no pregiudiziale a qualsivoglia forma di progresso. Che per una sinistra così si siano chiuse le porte del Parlamento non può essere che un bene. Un bene per il Paese che democraticamente ne ha deciso le sorti, un bene per la sinistra stessa che, si spera, si immerga in un bagno di autocritica.
L'Unione di centro, che studiava da ago della bilancia, si trova a ricoprire un ruolo di forza residuale a cui va però il merito di aver resistito al terremoto che ha invece travolto altri. E' riuscita ad attrarre i voti moderati di sinistra, scontenti del Pd, ma non ha eroso consensi a destra.
Stesso destino, con proporzioni decisamente diverse, per il Partito democratico che, se è riuscito a cannibalizzare i voti della sinistra massimalista, non ha attratto il voto moderato tantomeno quello del nord del Paese fallendo l'obiettivo della rimonta sul PdL prima, e quello della soglia del 35% poi.
Ultima notazione sul Popolo della Libertà. La scelta rischiosa di correre da soli ha pagato. Il Partito Democratico è stato costretto a liberarsi dall'abbraccio mortale della sinistra massimalista, a cui peraltro non rinuncia se non a livello nazionale, per recuperare credibilità. La scelta del PdL di rinunciare all'apporto di Udc e Destra è stato un rischio, un tributo pagato alla governabilità. Oggi la maggioranza è forte e si spera coesa e leale, ci sono tutte le condizioni perché la difficile responsabilità del governo possa dare da subito grandi risultati in termini di realizzazione del programma, di risoluzione dei problemi del Paese e di apertura di quella stagione delle riforme non più procrastinabile. Perdere una opportunità simile sarebbe imperdonabile.
Inoltre questo straordinario successo elettorale deve imprimere ulteriore velocità alla nascita anche formale del nuovo partito del centrodestra italiano.
A tenere le sorti sia del governo che del partito ci sarà Silvio Berlusconi, che a dispetto di coloro che, con evidente supponenza, all'estero come in Italia lo definiscono unfit, inadatto, ha dimostrato, ancora una volta di essere in perfetta sintonia con il Paese reale. Come ricordava Filippo Facci in un'editoriale del Giornale di un paio di giorni fa, a marzo Paolo Mieli diceva: «Berlusconi ha fondato un centrodestra che resisterà anche quando lui non ci sarà più. Se dovesse vincere le elezioni per la terza volta, lo spazio a lui dedicato nei libri di storia non sarà limitato alle formulette che usiamo oggi. Ci vorrà una riflessione profonda su quest’uomo che ha segnato nel bene e nel male la storia recente di questo Paese: il male è stato ampiamente dibattuto, ma il bene merita di essere anch’esso esaminato». Chissà che non abbia ragione!

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