La storia è una di quelle di ordinaria sofferenza che ha come protagonista una coppia di coniugi sardi affetti entrambi da talassemia con il legittimo desiderio di avere un bambino sano ma che rischia di avere lo stesso difetto genetico dei genitori, quindi di nascere malato nel 50% dei casi. L’unico metodo che consente di conoscere prima la natura dell’embrione è la diagnosi preimpianto vietata però, nel nostro Paese, dalla legge 40/04 che ne impone l’impianto senza nessun tipo di indagine preventiva, oltre ad impedire l’accesso alla procreazione medicalmente assistita ai portatori di patologie genetiche, consentendola solo alle persone sterili-infertili.
La coppia, per ovviare ai divieti, intraprende una prima azione legale. Nel contenzioso tra la Asl 8 di Cagliari, rifiutatasi di sottoporre l’embrione a diagnosi preimpianto in ossequio alla legge 40, e i coniugi, il legale di questi ultimi impugna l’aricolo 13 della legge ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità in relazione agli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione. Il 24 ottobre 2006 la Corte Costituzionale respinge la richiesta. L’embrione resta congelato e la coppia decide di andare all’estero per fare un nuovo tentativo che stavolta va a buon fine: la signora è in attesa di una bimba, a Istanbul è stato possibile effettuare la diagnosi preimpianto in modo da scongiurare la presenza di patologie. Nel frattempo in Italia la battaglia legale è andata avanti, l’avvocato della coppia ha sostenuto davanti al Tribunale di Cagliari che la nascita di un bimbo malato, dopo i due aborti precedenti e le vicende vissute, avrebbe rappresentato un grave danno per la salute psicologica della donna. Il giudice ha accolto la tesi del legale (clicca qui per leggere la sentenza) e ha riconosciuto la prevalenza del diritto alla salute della donna rispetto al divieto di diagnosi preimpianto previsto dalla legge. La Asl e il primario di ginecologia dell’ospedale Microcitemico dovranno eseguire l’esame dell’embrione congelato due anni fa e, se non risulterà affetto da talassemia, potranno impiantarlo. La futura mamma si dice pronta ad intraprenderre una nuova gravidanza.
La storia dei coniugi sardi è emblematica e ha permesso di mettere in luce i profondi limiti della legge 40 che richiede una modifica al di là delle guerre ideologiche che su di essa si sono abbattute all’epoca del referendum.
In luglio il rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità metteva in risalto come a fronte di un aumento del numero dei centri in cui si pratica la procreazione medicalmente assistita (pma), che passano dai 120 del 2003 ai 169 del 2005, la percentuale di gravidanze ottenute sui prelievi passa dal 24,8% del 2003 al 21,2% del 2005 il che significa, in valore assoluto, oltre mille gravidanze perse. Il dato è ancora più allarmante se lo si guarda in relazione ai “viaggi della speranza” che molte coppie, quelle che possono permetterselo, intraprendono per sottoporsi alle tecniche di pma in Paesi dove legislazioni diverse e, consentitemi, moderne e meno ideologiche permettono alla coppia di avere maggiore sicurezza e possibilità di riuscita.
Il caso di Cagliari ha consentito di evidenziare alcune contraddizioni insanabili che vigono nel nostro ordinamento. Si passa dal divieto di diagnosi preimpianto sugli embrioni, previsto dalla legge 40, alla facoltà di interrompere la gravidanza (anche fino al sesto mese nel caso di aborto terapeutico) senza considerare il paradosso che l’impianto “al buio” di un embrione non sano può portare ad un successivo aborto, il doppio divieto della diagnosi preimpianto e dell’accesso alla pma solo a coppie non sterili-infertili conduce al doppio risultato di incentivare gli aborti e disincentivare le gravidanze nei soggetti a rischio a meno di un provvidenziale viaggio all’estero. Tutto ciò sarebbe solo assurdo o inconcepibile se non si consumasse dolorosamente sulla pelle della gente in spregio al legittimo diritto alla genitorialità.
Da più parti in questi giorni dopo la sentenza del Tribunale di Cagliari viene agitato strumentalmente lo spettro dell’eugenetica, fare la diagnosi preimpianto aprirebbe le porte alla selezione degli embrioni e ad una generazione di figli fatti su misura. Se così fosse fino al 2004, anno dell’entrata in vigore della legge 40, in Italia si sarebbe praticata l’eugenetica, che tutti i Paesi che praticano la diagnosi preimpianto praticano l’eugenetica, che l’eugenetica si pratica quando le donne si avvalgono della possibilità, garantita dalla legge italiana, di eseguire indagini prenatali come la villocentesi e l’amniocentesi e di interrompere la gravidanza…
La realtà è che la legge 40 era, è e rimane una brutta legge che il Parlamento dovrebbe al più presto rivedere ripristinando la coerenza sulla materia nell’ordinamento e non costringendo le coppie italiane che hanno bisogno di ricorrere alla pma al pendolarismo sanitario o peggio alla clandestinità.
Ci sarebbe da augurarsi che all’appuntamento, inevitabile, con la modifica della legge 40 la maggioranza del centro-destra che in queste materie si è sempre affidata in “outsourcing” alle legittime posizioni dell’episcopato cattolico, ci arrivi con un po’ più di autonomia senza pensare di dover farsi paladina di una compiacente etica di Stato e guardando alle cose con il giusto pragmatismo.
La coppia, per ovviare ai divieti, intraprende una prima azione legale. Nel contenzioso tra la Asl 8 di Cagliari, rifiutatasi di sottoporre l’embrione a diagnosi preimpianto in ossequio alla legge 40, e i coniugi, il legale di questi ultimi impugna l’aricolo 13 della legge ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità in relazione agli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione. Il 24 ottobre 2006 la Corte Costituzionale respinge la richiesta. L’embrione resta congelato e la coppia decide di andare all’estero per fare un nuovo tentativo che stavolta va a buon fine: la signora è in attesa di una bimba, a Istanbul è stato possibile effettuare la diagnosi preimpianto in modo da scongiurare la presenza di patologie. Nel frattempo in Italia la battaglia legale è andata avanti, l’avvocato della coppia ha sostenuto davanti al Tribunale di Cagliari che la nascita di un bimbo malato, dopo i due aborti precedenti e le vicende vissute, avrebbe rappresentato un grave danno per la salute psicologica della donna. Il giudice ha accolto la tesi del legale (clicca qui per leggere la sentenza) e ha riconosciuto la prevalenza del diritto alla salute della donna rispetto al divieto di diagnosi preimpianto previsto dalla legge. La Asl e il primario di ginecologia dell’ospedale Microcitemico dovranno eseguire l’esame dell’embrione congelato due anni fa e, se non risulterà affetto da talassemia, potranno impiantarlo. La futura mamma si dice pronta ad intraprenderre una nuova gravidanza.
La storia dei coniugi sardi è emblematica e ha permesso di mettere in luce i profondi limiti della legge 40 che richiede una modifica al di là delle guerre ideologiche che su di essa si sono abbattute all’epoca del referendum.
In luglio il rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità metteva in risalto come a fronte di un aumento del numero dei centri in cui si pratica la procreazione medicalmente assistita (pma), che passano dai 120 del 2003 ai 169 del 2005, la percentuale di gravidanze ottenute sui prelievi passa dal 24,8% del 2003 al 21,2% del 2005 il che significa, in valore assoluto, oltre mille gravidanze perse. Il dato è ancora più allarmante se lo si guarda in relazione ai “viaggi della speranza” che molte coppie, quelle che possono permetterselo, intraprendono per sottoporsi alle tecniche di pma in Paesi dove legislazioni diverse e, consentitemi, moderne e meno ideologiche permettono alla coppia di avere maggiore sicurezza e possibilità di riuscita.
Il caso di Cagliari ha consentito di evidenziare alcune contraddizioni insanabili che vigono nel nostro ordinamento. Si passa dal divieto di diagnosi preimpianto sugli embrioni, previsto dalla legge 40, alla facoltà di interrompere la gravidanza (anche fino al sesto mese nel caso di aborto terapeutico) senza considerare il paradosso che l’impianto “al buio” di un embrione non sano può portare ad un successivo aborto, il doppio divieto della diagnosi preimpianto e dell’accesso alla pma solo a coppie non sterili-infertili conduce al doppio risultato di incentivare gli aborti e disincentivare le gravidanze nei soggetti a rischio a meno di un provvidenziale viaggio all’estero. Tutto ciò sarebbe solo assurdo o inconcepibile se non si consumasse dolorosamente sulla pelle della gente in spregio al legittimo diritto alla genitorialità.
Da più parti in questi giorni dopo la sentenza del Tribunale di Cagliari viene agitato strumentalmente lo spettro dell’eugenetica, fare la diagnosi preimpianto aprirebbe le porte alla selezione degli embrioni e ad una generazione di figli fatti su misura. Se così fosse fino al 2004, anno dell’entrata in vigore della legge 40, in Italia si sarebbe praticata l’eugenetica, che tutti i Paesi che praticano la diagnosi preimpianto praticano l’eugenetica, che l’eugenetica si pratica quando le donne si avvalgono della possibilità, garantita dalla legge italiana, di eseguire indagini prenatali come la villocentesi e l’amniocentesi e di interrompere la gravidanza…
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4 commenti:
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Sono d'accordo su tutto quello che hai scritto. Però, lasciati dire, che non è corretto scrivere "alle legittime posizioni dell’episcopato cattolico". La CEI può dire quello che vuole, ci mancherebbe. Però non è legittimo dire che un parlamentare cattolico deve votare sulla base delle indicazioni della chiesa. E nelle posizioni della CEI è compresa anche questa bestemmia, dal punto di vista civile e laico. Credo la pignoleria sia dovuta, in casi come questo e, in genere, dove ci sono di mezzo i preti.
sono d'accordo anch'io con ercolino e con quanto ha detto
MEGLIO UNA BRUTTA LEGGE
CHE TANTE BRUTTE COSE A DANNI
DI ANIME INNOCENTI
BIMBI MAI NATI
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